Da sempre il pellegrinaggio porta in sé l’immagine di un cammino spirituale che si articola in tre momenti fondamentali: “uscire-lasciare”, “camminare-cercare”, “trovare-incontrare”. Un cammino duro e faticoso che un tempo presupponeva anche la rinuncia ad ogni comodità; viene perciò da chiedersi quanto sia ancora rimasto oggi dell’antico pellegrinaggio, quale il suo scopo, quanti i suoi cambiamenti.
Un primo arricchimento dell’antico significato di viaggio spirituale ci viene dal papa Paolo VI che, durante il Concilio Vaticano II, si recò in Terra Santa dimostrando così che il pellegrinaggio è anche ricerca di un terreno comune che diviene spazio di dialogo e di accordo.
Il pellegrinaggio fu, poi, la caratteristica e l’elemento portante di tutto il pontificato di papa Giovanni Paolo II che, fin dal tempo in cui era vescovo di Cracovia, lasciò spesso la Curia per recarsi accanto alle sue pecorelle come è di ogni “buon pastore”. L’esperienza di vicinanza con il popolo, fatta durante l’episcopato, lo spinse da papa a numerosi viaggi apostolici, ben 132, verso numerosi paesi, alcuni dei quali visitati più volte, tanto da essere denominato “papa pellegrino”.
E’ spontaneo chiedersi come mai il papa polacco non reputasse sufficiente l’annuncio del Vangelo fatto via radio, televisione, internet, ma ritenesse necessaria una testimonianza più diretta, più vicina al gregge, più calata nella realtà locale di quel paese, emerge in questo la sua preoccupazione di conformarsi quanto più possibile alla figura di Gesù che, durante la sua missione terrena si mostrò “buon pastore itinerante”.
Pur rimanendo intatto lo spirito del pellegrinaggio, esso si è fortemente modificato rispetto alle condizioni ambientali, ai mezzi di trasporto, ecc., ma l’importante è sentirsi “pellegrini” sempre, sia nella visita ad un luogo sacro o di pietà popolare, sia nella vita dove tutto deve condurci ad una meta che è il fine e non la fine della nostra vita.