Rif: Gs 5, 9a-12; Sal 33; 2Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32
“Rallegrati…..”, l’esortazione iniziale dell’Antifona d’ingresso identifica la IV domenica di Quaresima come la domenica “laetare”; domenica nella quale motivo di gioia è il ritorno verso la casa del Padre dalla quale troppo spesso ci siamo allontanati (Vangelo), per gli Ebrei è l’entrata nella terra promessa dopo i quarant’anni del deserto (I lettura), per tutti è la riconciliazione che Cristo ci dona attraverso i suoi ministri (II lettura).
Altro motivo di gioia è riscoprire, attraverso la parabola del “Padre misericordioso”, lo sconfinato amore che Dio ha per i suoi figli, quelli lontani, ma anche quelli che, pur essendo vicini, non si sentono “figli” e continuano a vivere in uno stato di sudditanza e di estraneità. Come dimostra il figlio rimasto a casa, quello che il Padre esce a supplicare perché non voleva entrare.
“…Il padre allora uscì a pregarlo…”. Così comincia la seconda parte della parabola, la parte più trascurata, quella che viene dopo e in cui si parla del figlio maggiore, rimasto a casa. Quello che mai si è allontanato dal padre, ma che mai si è sentito figlio e padrone, mai si è accorto dell’amore che lo circondava, mai ha sentite sue le cose che possiede e mai ne ha provato gioia. In questo figlio forse è ritratto l’atteggiamento della maggior parte di noi che ci diciamo cristiani, che non abbiamo grandi cose da confessare, che conduciamo una vita di preghiera e di chiesa… senza gioia e che, senza accorgerci di essere amati, guardiamo con indifferenza il Padre che si strugge per il figlio lontano, senza sentirci né protagonisti, né compagni in quell’attesa che stentiamo a comprendere e condividere. Nell’indifferenza e nel vago rimpianto di non avere il coraggio di allontanarsi, mai uno slancio di amore, mai una sosta per chiedere al Padre se ha bisogno di compagnia, mai recuperiamo il tempo per ascoltarlo. Ci teniamo lontani da lui presi da mille cose…, siamo figli e ci sentiamo servi.
Comincia qui la parte più struggente, quella che ci induce a riflettere come il Padre esca a cercare anche noi, perché la festa sia completa; nessun padre riuscirebbe a festeggiare uno solo dei suoi figli, festa è solo quando la famiglia si riunisce al completo, quando ognuno trova posto nell’amore indiviso del genitore, festa è sentirsi “a casa” e “di casa”, in un ambiente che è nostro al punto da essere insostituibile. Ed è lo stesso Padre a sottolineare in cosa consista la nostra mancanza più grave: “…questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. Ogni persona che si allontana da Dio è nostro fratello e ogni fratello che non riesce a trovare la strada di casa priva tutta la famiglia della sua presenza, del suo amore. Tutta la famiglia e ciascuno dei suoi componenti è responsabile dell’allontanamento degli altri, ciascuno è chiamato a condividere i sentimenti paterni di Dio: l’amore,l’ansia, la preoccupazione, il perdono e la festa. L’attesa del padre deve essere la nostra attesa e la sua gioia la nostra gioia allo stesso modo che in una famiglia si condividono con i genitori le gioie e i dolori.
E Dio ama e attende, attende al di là di ogni speranza e di ogni evento, pronto a correre incontro a colui che da lontano, con passo incerto, si dirige verso casa.