Rif.: 1Re 19,16b.19-21; Sal 15/16,1-2.5.7-11; Gal 5,1.13-18; Lc 9,51-62
La Liturgia di questa domenica si snoda lungo un percorso che dalla libertà approda all’amore e da questo al servizio dei fratelli, un servizio generoso che riflette in noi l’immagine di Cristo e la fedeltà a Lui.
E’ s. Paolo (II lett.) a ribadire con forza che Gesù ci ha chiamati alla libertà, una libertà che, svincolandoci dalla schiavitù del peccato e della carne, ci pone sotto la guida dello Spirito Santo. Ma lo Spirito di Dio non può non guidarci all’amore che è la sua intima essenza, amore che dona stesso e, in ogni occasione, perdona, comprende, giustifica, salva. San Paolo precisa anche che la libertà alla quale Cristo ci chiama non è autorizzazione a fare ciò che più ci piace, ma è scelta libera di abbandonare, rifiutare tutto ciò che ci impedisce di aderire completamente a Dio.
Per il cristiano essere libero significa allora sciogliere ogni vincolo che lo tiene legato sia al peccato che ai propri desideri, progetti, ambizioni, egoismi, ecc. Libertà è guardare a Cristo che affronta il cammino verso Gerusalemme con “decisione”, e, nel suo volto teso ed indurito, leggere tutta le fermezza necessaria a dirigersi verso la Croce senza ripensamenti, né esitazioni… e decidere di seguirlo.
Una scelta dura, quella di Cristo, che si è consolidata e va consolidandosi nelle preghiere notturne, nei colloqui intimi con il Padre, nel contatto con la gente che da Lui si attende salvezza e guarigione, perdono e compassione. Una scelta libera, ma profondamente radicale e la stessa radicalità Egli chiede ai discepoli. “Seguimi” disse ad un tale e questi rispose “Signore, concedimi prima di andare a seppellire mio padre!”. Gesù replicò: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti”. E la sua esortazione indica che chi è chiamato deve essere pronto e recidere qualsiasi legame, anche quello sacro della propria famiglia, nulla, nemmeno un giorno o un’ora deve frapporsi fra la chiamata e l’assenso.
Dio chiama e attende e la sua attesa è la cosa più sacra, più urgente, più impellente di qualsiasi altra cosa al mondo. Perché si è chiamati per essere “inviati”, ognuno con un compito preciso, con una missione inderogabile: annunciare Dio e la sua salvezza, mostrare all’altro il conforto del Suo volto che si china su ciascuno per consolare, sostenere, aiutare. Così che ogni vocazione è innanzitutto invito a diventare un “portatore sano” dell’amore di Dio!
Amore universale, dinanzi al quale ogni uomo, pur nella sua unicità, è uguale all’altro nel diritto di essere amato, curato, accudito: un solo Dio, un solo Padre che chiede all’uomo di collaborare con Lui nel grandioso progetto della salvezza e da noi si aspetta una risposta simile a quella del salmista: “Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio (…), nelle tue mani è la mia vita…”.