Rif. Gn 18,1-10a; Sal 14/15,2-5; Col 1,24-28; Lc 10,38-42
Nella scorsa domenica la liturgia si è soffermata sul cuore della Legge: l’amore. Amore che si concretizzava verso Dio e verso il prossimo, questa settimana le letture si soffermano sul tema dell’ospitalità: un aspetto dell’amore spesso trascurato. L’ospitalità, sacra fin dai tempi antichi, è la virtù che ci permette di accogliere ed onorare chi entra nella nostra casa. Ma subito ci rendiamo conto che l’ospitalità non è semplice da attuare, essa comporta rinuncia ai nostri spazi, sacrificio delle nostre abitudini…, insomma l’ospite presto diventa un ingombro soffocante.
La liturgia però vuole dirci che l’ospitalità è la prima forma di amore verso Dio e verso il prossimo. Gesù stesso è l’ospite che “sta alla nostra porta e bussa” in attesa di un invito che lo renda partecipe della nostra intimità familiare. Ospitalità è quindi accoglienza disinteressata e festosa che si trasforma in occasione di incontro e di ascolto. Dio e uomo si fondono in un unico essere, così che accogliendo l’uomo è Dio stesso che accogliamo in colui che Egli ci invia.
Nella prima lettura, Dio è l’ospite che, senza sapere, Abramo accoglie. La sua disponibilità traspare dai numerosi verbi che sottolineano le sue azioni: corse loro incontro, andò in fretta, prese, aveva preparato, li porse loro…, poi espletati i preparativi, e servito il pranzo, Abramo si ferma, in piedi, accanto agli ospiti, teso a coglierne desideri e bisogni, pronto ad accontentarli. Egli si è posto in ascolto, come accontentarli, infatti, senza conoscere le loro necessità? (I lett.) Non dobbiamo dimenticare che Abramo era dolorante per la recente circoncisione, sfinito dalla canicola, bisognoso di riposo, ma egli supera i suoi bisogni personali per proiettarsi verso i pellegrini e porsi al loro “servizio”.
Anche nel Vangelo assistiamo ad una scena di grande ospitalità. Marta e Maria, due sorelle entrambe amiche del Signore, lo accolgono nella loro casa, ma con due atteggiamenti diversi: Marta, tutta presa a preparare un’accoglienza degna, si lascia assorbire talmente dai preparativi, che finisce con il “trascurare l’ospite”. Maria invece seduta ai piedi del Signore lo ascolta con l’attenzione di chi si immerge nelle parole dell’altro al punto tale che ogni altra cosa perde significato e urgenza. Quando Marta reclama l’aiuto della sorella, rivolgendosi al Signore – “dille dunque che mi aiuti”, Gesù risponde: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore”.
Gesù non vuole certo disprezzare ciò che Marta fa in suo onore, ma vuole dirci che il primo gesto dell’accoglienza è l’ascolto, è il fermarsi accanto all’ospite per comprenderne necessità e desideri, non solo, ma per esercitare la virtù dell’ospitalità verso gli uomini è necessario prima sostare accanto a Dio. Accoglierlo in noi, spalancare la porta dietro la quale Egli attende il nostro invito, senza timore o preoccupazione. E se noi non abbiamo nulla da dirgli, né sappiamo dirgli nulla Egli ha l’infinito da svelarci e attende solo che ci mettiamo in ascolto per chinarsi al nostro orecchio e confidarci cose “che mai orecchio udì, né occhio vide”. Il senso del nostro essere, del nascere e morire, della creazione e della redenzione, dell’amore che ci viene dato e chiesto, tutto attende di essere rivelato solo che ci fermiamo per un po’ e, come Maria, scegliamo la parte migliore che non ci verrà tolta!