Rif.: Sap 18,6-9; Sal 32/33,1.12;18-19;20-22; Eb 11,1-2.8-19; Lc 12,32-48
La liturgia di questa domenica presenta una forte continuità con la domenica scorsa, e, proprio in un periodo di vacanza e di spensieratezza, quando tutto ci porta ad una maggiore dissipazione, la Chiesa ci richiama, ancora una volta, sulla transitorietà delle cose e degli eventi e Gesù, con insistenza, ci ricorda: “Tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo”. Non è volontà di rattristarci, ma sapienza divina che costantemente ci ricorda di non affidarci a ciò che passa e delude, ma a ciò che conta e può renderci felici per sempre. Il punto non è essere tristi in terra, ma proiettarsi verso una felicità senza fine: quella che solo Dio e l’eterna vita con Lui può darci. La conclusione è: in qualunque situazione di vita, attendere la venuta di Dio che si presenterà inatteso con l’amore di un Padre o con il cipiglio di un Giudice a seconda dei casi. E le letture ci prospettano tre esempi di attesa vissuta con fede:
Il primo (I lett.), fa riferimento alla notte della liberazione quando i padri, attesa la salvezza con fede e spirito di preghiera e condivisione, furono premiati. In quella notte il Signore passò a liberarli. Il secondo (II lett.), rimanda alla fede di Abramo e di Sara che si mantennero sempre fedeli anche quando gli avvenimenti e le situazioni terrene sembravano andare contro ciò che Dio stesso aveva promesso. Così Abramo uscì dalla sua terra natia e si avventurò in un paese straniero perché credette all’invito e alla promessa divina. Pronto perfino a sacrificare il suo unico figlio, per la sua incrollabile fede in Dio, nel cammino da una terra all’altra egli intravide il nostro essere sulla terra “stranieri e pellegrini”, in viaggio verso la città che Dio stesso ha costruito per gli uomini. Abramo è perciò giustamente considerato il prototipo dell’uomo di fede. Fede che è “fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede”.
Il terzo esempio di attesa e di fede è nel Vangelo. Il servo fedele di cui parla la parabola si comporta bene perché crede nel ritorno del padrone e lo attende, anzi si comporta rispettando scrupolosamente la volontà del padrone come se questi fosse già presente tanto indubitabilmente ne attende il ritorno. Allo stesso modo il cristiano è chiamato a sentirsi “servo” mentre attende il definitivo ritorno di Cristo, secondo quanto promesso. E’ in Lui che la nostra vita troverà compimento e fine. Nel frattempo, però, è necessario rimanere fedeli alle promesse: alle nostre, quelle fatte da noi durante il nostro battesimo, e a quelle che Dio ha rivolto a noi. Il Regno è il luogo teologico in cui le reciproche promesse di fedeltà si fondono e si compiono, è il momento dell’eterno incontro con Dio per il quale vale la pena di attendere, di rimanere fedeli, di correre pronti al suo arrivo improvviso; pronti a “rendere” questa vita che ci fu donata , pronti a presentare, moltiplicato, quanto ci fu affidato. Le vacanze, dunque, sono il tempo prezioso per ritemprare le forze fisiche e spirituali e poter riprendere, con gioia, il cammino verso Dio che è, innanzitutto, il Padre che ci attende e che attendiamo.