Rif.: Ger 38,4-6.8-10; Sal39; Eb 12,1-4; Lc 12,49-57
Il salmista sembra dar voce al profeta Geremia liberato dalla cisterna fangosa dopo un’iniqua condanna: “mi ha tratto dalla fossa della morte, dal fango della palude”. Una sorte ingiusta quella di Geremia, innocente, eppure perseguitato dal suo stesso popolo a causa della parola che Dio gli ordina di annunciare. La sua figura è molto simile, seppure inferiore, a quella di Cristo che si sottopose alla croce, ma che ora è “assiso alla destra del trono di Dio”. Anch’Egli fu condannato perché risultò scomodo ai capi religiosi e politici del popolo, la sua persona e la sua Parola erano un’accusa vivente per tutti quelli che, disonesti nell’animo, onoravano Dio solo con gesti esteriori. Lo stesso Gesù, nel Vangelo, parla di sé come persona che divide gli animi, incidendo profondamente perfino i rapporti familiari più sacri e più stretti: “padre contro figlio, figlio contro padre, madre contro figlia, figlia contro madre…”.
Ma perché spesso il giusto viene perseguitato? E’ evidente che c’è in questo accanimento il desiderio di mettere a tacere la sua voce che accusa, rimprovera, ammonisce. Le sue parole scendono nella profondità dell’animo, interrogano la coscienza, illuminano le azioni rivelandone le segrete intenzioni, di fronte ad esse l’anima viene denudata di ogni ornamento, privata di ogni rifugio, reso inutile ogni tentativo di nascondersi. Unica alternativa: o cambiare se stessi o mettere a tacere la sua voce a qualunque costo. E all’ingiustizia della propria vita si aggiunge il sopruso di condannare un innocente.
Questa, in massima parte, la sorte dei profeti nell’Antico Testamento, questa la sorte di Gesù, Nostro Signore e, non dissimile dalla sua, la sorte dei suoi discepoli. Non c’è una via di mezzo, o le parole di Gesù sono accettate fino a diventare vita vissuta o si tenta di distruggere la sua credibilità e perfino la sua divinità. Ecco il perché della crisi perfino all’interno dei rapporti familiari. Scegliere Gesù, infatti, implica modificare se stessi, la propria vita, il proprio modo di pensare, di agire e tutto ciò è un rinnegare la formazione ricevuta in famiglia per accogliere ciò che Lui è, ci dice e ci dà.
Poi Gesù, lancia ai presenti ed a noi oggi una forte provocazione: come mai noi che sappiamo prevedere la pioggia dalla nuvola posta a ponente e l’arrivo del caldo al soffio dello scirocco, non sappiamo vedere in Lui il Segno dei tempi nuovi giunti ad illuminare la storia? E come mai noi uomini di scienza e di sapienza, non sappiamo scorgere nella sua Parola l’eterno amore di Dio e vedere nella Croce la sua misericordia?
Dopo che per due domeniche la Liturgia ci ha richiamati alla riflessione sulla transitorietà delle cose e della vita, ecco che oggi ci mette in guardia contro “il rifiuto della verità e della grazia”(Colletta II). Cosa sarebbe di noi se, presi dalle faccende terrene, rifiutassimo di confrontarci con quella Parola che sola dona sapienza e rinnegassimo Dio che solo può salvarci? Mentre non resta altro che invocarlo con fede: “Signore, vieni presto in mio aiuto”(salmo responsoriale).