Rif.: Ab 1,2-3; 2,22-4; Sal 94; 2Tm 1,6-8.13-14; Lc 17,5-10
Le letture di questa domenica ci parlano della fede e ci suggeriscono le implicazioni ad essa collegate e che da essa scaturiscono.
La prima è che non si può parlare di fede se ad essa non si adeguano il nostro modo di vivere, di pensare, di agire. Nella Prima lettura il profeta Abacuc chiede a Dio come mai Egli sopporti tanta iniquità e sembri essere solo spettatore dell’oppressione. La risposta del Signore è solenne: la giustizia arriverà, vi sarà una scadenza per il male, il malvagio soccomberà sotto la sua stessa cattiveria, ma il “giusto vivrà per la sua fede”. “Se indugia, attendila” ordina il Signore al profeta. Ecco la seconda conseguenza della fede: la pazienza. Dio non ha fretta e vuole che noi ci adeguiamo ai suoi tempi, allora la fede è fiduciosa attesa che Egli compia il suo progetto di salvezza, è sapere con certezza che i giusti non saranno dimenticati e che le sofferenze avranno fine e consolazione. Da questa attesa di fede, vediamo erompere e crescere la speranza che Dio mai ci abbandonerà, ma come un Padre ci guarda, ci guida, ci attende…
Le altre conseguenze possiamo trarle dal brano evangelico che inizia con l’accorata richiesta degli apostoli: “aumenta la nostra fede!” e Gesù risponde “se aveste fede quanto un granellino di senapa”… La fede non è questione di quantità, anche una fede piccola quanto un granello di senapa basta a smuovere le montagne non solo geografiche, ma anche quelle interiori e a darci la forza per seguire Dio ovunque voglia condurci, qualunque cosa ci chieda di fare…, allora misura della nostra fede sarà l’obbedienza.
Come un fiume sgorga e discende dalla propria sorgente, così l’obbedienza sgorga e discende da una fede sincera travolgendo dubbi ed incertezze, dando forza alla speranza anche quando le avversità ci sommergono e l’orizzonte si addensa di oscure nubi. All’obbedienza si abbina indissolubilmente l’umiltà. Si può obbedire, infatti, solo riconoscendo che abbiamo bisogno di Dio, della sua Legge, della sua voce che nell’intimo guida i nostri passi ed incessantemente ci spinge a tornare a Lui.
Solo nell’obbedienza potremo ripristinare la priorità di Dio nella nostra vita e allora ci renderemo conto che Dio non ha bisogno di noi e che al nostro posto Egli avrebbe potuto creare migliaia, milioni di altri esseri che meglio lo avrebbero servito; solo obbedendo possiamo renderci conto della nostra inutilità, ma anche dell’amore infinito ed eterno che Dio ha avuto creando noi e non altri al nostro posto. Obbedendo sapremo di non aver compiuto altro che il nostro dovere di figli e non ci chiederemo più quando Dio arriverà, né gli chiederemo di aumentare la nostra fede, ma avremo la certezza che ogni cosa che Dio voglia o permetta è per il nostro bene: come una medicina amara o dolorosa ha il solo scopo di guarire, così la volontà di Dio, anche quando è dura da ingoiare, mira solo alla nostra salvezza. Con umiltà ci disponiamo alla preghiera perché il nostro cuore non si indurisca e prostrati dinanzi al Signore che ci ha creati, con fede sincera riconosciamo: “Egli è il nostro Dio, e noi il popolo del suo pascolo, il gregge che egli conduce”.