Rif: 2Re 5,14-17; Sal 97/98,1-4; 2Tim 2,8-13; Lc 17,11-19
“Fa che nessuno di noi ti cerchi solo per la salute del corpo”. Le parole della Colletta seconda ci esortano a dare ali alla nostra preghiera che spesso si limita a chiedere cose di importanza relativa o dalla forte matrice egoistica. Pregare è invece chiedere “altro” perché tutto è possibile a Dio, è andare “oltre”, spaziare al di là della dimensione fisica, osare l’impossibile perché ogni cosa che viene da Dio è infinitamente grande. Ed infine ringraziarlo perché tende l’orecchio alle nostre richieste e sempre ciò che ci dona è per il nostro bene.
Proprio a proposito del ringraziamento nella preghiera, le letture portano ad esempio due personaggi: il pagano Nàaman, capo dell’esercito di Aram e il Samaritano del Vangelo, anch’egli ritenuto nemico e pagano. Entrambi chiedono la guarigione dalla lebbra ed, esauditi, entrambi sentono il bisogno di tornare indietro per lodare e ringraziare Dio. Essi ci mostrano come la preghiera sia innanzitutto un continuo cammino di “ritorno” a Dio per mettersi ai suoi piedi non solo per adorarlo, ma dirgli semplicemente: “Grazie!”. Grazie per ciò che siamo, per la fede che ci è donata, per la vita che viviamo, per ogni giorno in cui ci è concesso di svegliarci, cantare, amare, soffrire e, ancor più, ci è dato di credere!
Le letture ci esortano con forza a fare un salto di qualità nella fede, ad andare al di là della mera osservanza, della fredda obbedienza che diviene sterile quando è fatta tanto per mettersi a posto con la coscienza o al riparo dal castigo. Dio vuole il nostro cuore, cerca la nostra gratitudine come segno di un’anima che riconosce i tanti benefici ricevuti.
Il ritorno di Nàaman da Eliseo e del lebbroso da Cristo ci dicono che Dio, nonostante la sua grandezza vuole sempre instaurare un rapporto con l’uomo e così, amoroso e pietoso, munifico ed onnipotente, Egli ci viene incontro ogni volta che lo invochiamo. Vorrebbe darci l’infinito e noi ci fermiamo a chiedere a “gran voce” la salute, la protezione per i nostri cari, il lavoro per un figlio… e, una volta che la richiesta è stata esaudita, ci sembra incredibile che Dio ci abbia ascoltato, tanto che sarebbe imbarazzante ringraziarlo… e non ci pensiamo più! Si perpetua così l’atteggiamento dei lebbrosi che chiedono “ad alta voce” la guarigione, ma una volta che l’hanno ottenuta si affrettano ad espletare le relative pratiche religiose, dimentichi di ogni riconoscenza. La fede non è uno scambio “io prego, tu mi dai” oppure “io osservo i comandamenti e Tu non mi punisci”, Gesù va oltre, Egli parla di una gratitudine non fatta di parole, ma di un modo di vivere che riconosca in Dio il Padre, il Creatore e il Salvatore. E allora come Dio dobbiamo pregarlo, come Padre amarlo, ma come Colui che in Cristo ci salva, dobbiamo essergli infinitamente grati perché oltre a crearci e a volerci come figli, ci rende partecipi, in Cristo, della sua stessa vita divina, pronto ad offrirci una salvezza che è a portata di mano sempre, anche quando siamo infedeli, poiché, paradossalmente, come scrive san Paolo, “lui rimane sempre fedele perché non può rinnegare se stesso” (II lett.).