Rif.: Sap 11,22-12,2; Sal 144; 2Ts 1,11-2,2; Lc 19,1-10
Con Gesù che si avvia a Gerusalemme, continua la catechesi della Liturgia sulla preghiera. Essa è vista innanzitutto come canto di lode a Dio, datore di vita, che ama tutto ciò che ha creato ed ogni cosa esiste perché Dio continua ad amarla e a desiderare che essa viva (I lett.). Già questo meriterebbe una sosta ed una riflessione più approfondita, poiché ne scaturisce che ogni uomo vive perché Dio continua ad amarlo, a desiderarlo e a donargli l’esistenza: ogni uomo, anche il più disprezzato e reietto, vive perché voluto da Dio. Si comprende, allora, perché l’aborto, la pena di morte, la guerra, le atrocità, le prevaricazioni, il bullismo, la pedofilia siano azioni raccapriccianti, in quanto esse calpestano ciò che Dio ama, ciò che Egli, dall’eternità, desidera ed attende.
Ogni preghiera, allora, per essere autentica, dopo essersi elevata a Dio, deve scendere su questa terra e diventare amore fraterno, “carità operosa”. Solo la “carità” che “non manca di rispetto”, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto…, tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta…” (cfr. 1Cor,13) dimostrerà a Dio e al mondo la veridicità della nostra conversione.
E’ quanto accade nel Vangelo che narra la storia di Zaccheo, un uomo piccolo di statura, che ostacolato dalla folla, per vedere Gesù, sale su un sicomoro. Gesù si ferma, lo guarda e lo invita: “scendi subito, perché devo fermarmi a casa tua. Con il verbo greco “meinai” che significa rimanere, Gesù lascia intendere che la sua non è una visita, ma un rimanere che prelude ad una conoscenza più profonda, al nascere di un’amicizia duratura e fedele. E’ l’incontro di Dio con l’uomo che da Lui si è allontanato, è l’andare in cerca del figlio perduto. E, attraversando la vita di ciascuno, Dio passa, si lascia vedere, si ferma, non attende di essere invitato ma entra, si ferma, si lascia conoscere.
“Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”, con questa risposta Gesù zittisce il mormorio di critiche che lo accusavano di essere andato ad alloggiare da un peccatore. Un peccatore!? Gesù guarda Zaccheo come una persona che il Padre ama, dinanzi a Lui c’è un uomo che porta, indelebile, l’immagine di Dio che nulla può cancellare; Zaccheo sente che Dio gli è amico da sempre e, dal basso della sua statura, ci insegna che la preghiera più bella è quella che si confonde nell’amore stesso di Dio e da Dio si riversa sui fratelli.
Quali parole sono più necessarie? Un fiore ha forse bisogno di parole quando spontaneamente sboccia al calore del sole? Per esso parlano i suoi colori e il suo profumo. Così la muta preghiera di Zaccheo che soccorre i poveri, ci mostra che una preghiera che si limita alle sole parole rimane incompleta, ma una vita che si trasforma in preghiera si arricchisce dello stesso amore di Dio.