Rif.: Mi 3,19-20; Sal 97,5-9; 2Ts 3,7-12; Lc 21,5-19
Nell’imminente fine dell’anno liturgico la Liturgia, come sempre, ci richiama alla fine del tempo e dei tempi, quando verrà il “Giorno del Signore” che il profeta Malachia definisce “rovente come un forno”. Quel giorno segnerà la fine definitiva dei superbi e degli ingiusti e sarà l’alba eterna di una nuova vita per coloro che temono Dio (I lett.).
“Dio, principio e fine di tutte le cose”. La preghiera di Colletta invoca Dio con due termini in antitesi tra loro: principio e fine. E se per principio intendiamo l’origine, la sorgente primaria di qualcosa, per fine si intende l’esatto contrario, cioè il punto estremo nello spazio e nel tempo in cui quel qualcosa ha termine. Ma esiste un altro significato ed è “il fine”, cioè lo scopo, il senso, la motivazione che giustifica l’esistenza di qualcosa o di qualcuno. Dio che si pone all’origine delle cose ne diviene anche il senso, lo scopo, la meta finale a cui tutto tende. Così la nostra vita che da Dio ha avuto origine, in Lui troverà il suo senso compiuto e la sua meta ultima. Allora il tempo che noi viviamo è il tempo del cammino incontro a Dio che viene e nel suo Figlio ci accoglie, ci guida, ci accompagna, ci raduna, ci incontra!
E’ ancora la preghiera di Colletta che ci parla di Gesù come di un tempio “vivo” nel quale Dio raduna l’umanità. Da sempre, il Tempio è considerato la Casa in cui Dio abita e il luogo dove l’uomo può incontrarlo. E sempre ogni Tempio è stato impreziosito da arredi pregevoli e magnifiche opere d’arte, ma quando gli Apostoli fanno notare al Signore la bellezza del Tempio, Gesù ne annuncia la fine: “non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”. Agli Apostoli che chiedono: “quando accadrà questo e quale sarà il segno?” Gesù non risponde a questa domanda, ma con toni apocalittici prosegue descrivendo il Giorno del suo ritorno. E, per quel giorno, l’importante sarà aver vissuto come se ogni giorno fosse stato l’unico e l’ultimo. L’importante sarà aver avuto una fede forte da generare la speranza, l’importante sarà aver nutrito la speranza con la perseveranza. E allora il tempo presente, pur essendo attesa dell’eternità, non è tempo dell’attesa passiva e inerte, ma tempo operoso che, animato dalla fede, costruisce un sereno futuro per noi e quelli che verranno (II lett.)
Dio verrà, questo l’annuncio della Liturgia e nell’annuncio vi è l’implicito invito ad essere pronti a questo incontro, vivendo come se Egli già fosse presente, già fosse giunto fra noi! E questa non è la splendida realtà che Cristo è venuto a portarci?
In Lui incontriamo Dio, è Lui ad intercedere per noi, con Lui entriamo in comunione fra noi e con Dio. Gesù può definirsi l’unico, eterno Tempio dove incontrare Dio, poiché Gesù stesso è “Comunione” con Dio e con noi. Ed Egli è già qui, è già giunto duemila anni fa per vivere fra noi e con noi, per accompagnarci verso l’eternità, per guidarci verso il “Giorno” finale tenendoci per mano e dicendoci con la sua presenza che in quel giorno, vicino o lontano, Egli è ed è sempre stato accanto a noi, pronto a ripetere in ogni occasione della vita: “Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (alleluia al Vangelo).