Rif.: 1Sam 5,1-3; Sal 121,1-6; Col 1,12-20; Lc 23,35-43
Nelle Letture due re e due regni diversi si confrontano a secoli di distanza: Davide e Cristo. Il primo ritratto all’apice della gloria, nel momento della sua incoronazione, quando la folla osannante gli dichiara la propria sottomissione e appartenenza: “Ecco noi siamo tue ossa e tua carne” e lo riconosce come “Unto del Signore”. Il secondo, Gesù, nell’Ora della Croce, quando, circondato dal dileggio dei sacerdoti e dalla curiosità della folla, Egli, Dio da Dio, si offre al Padre nel più sconvolgente e inimmaginabile Sacrificio.
In realtà queste due situazioni così diverse tra loro conducono ad una sola conclusione: altro è vedere le cose dal punto di vista umano, altro è considerarle dal punto di vista di Dio, altro è la transitoria gloria che viene dal mondo, altro quella eterna che viene da Dio. Fra la mentalità umana e quella di Dio la Croce fa da spartiacque, punto di profonda divisione, ma anche l’unico punto dal quale partire per comprendere appieno la vita, la missione e la regalità di Cristo. Egli è Re venuto non per appropriarsi del potere terreno, ma per donarci il regno dei cieli. Re di un regno che non appartiene a questo mondo, ma che in questa terra affonda le sue radici per poi proiettarsi in alto, verso le sconfinate, eterne dimensioni; Re di pace e di perdono, di umiltà e di mitezza che riporta il mondo all’antica armonia della creazione.
Un Re che non vuole imporsi agli uomini, ma solo proporre ad essi un vita nuova, nella quale non c’è posto per guerre e ingiustizie, ma solo bontà e pace.
Un Re che per liberarci dalle tenebre si è immerso nel buio assoluto della morte e che, per cancellare il peccato, si è offerto come “vittima pura, santa e immacolata” e dalla croce, stilla dopo stilla, il suo sangue scende sulla terra a portare Redenzione e Pace.
Sulla Croce che lo espone nudo e sofferente allo sguardo dell’umanità, Cristo ci chiede di riconoscere in Lui il Salvatore e di credere, al di là delle apparenze, alla potenza del suo Nome perché nella sua morte ogni morte è distrutta, ogni peccato perdonato, ogni peccatore redento.
Forse la nostra risposta sarebbe più pronta e la nostra fede più sincera solo se provassimo ad allontanarci dalla derisione dei sacerdoti, dagli insulti dei soldati, dal silenzio della folla per sentirci liberi, capaci ancora di inorridire per le atrocità che l’uomo infligge ai suoi simili e per noi stessi che in silenzio stiamo a guardare.
Allontanarci dalla folla per ritrovare un nuovo silenzio, che ci renda capaci di comprendere che la Croce racchiude ed esprime tutte le altre atrocità. Per comprendere che la Croce non è solo un mistero di dolore, ma il mistero di amore di Dio che si incarna per essere uomo fra gli uomini, fino a dividere con essi sofferenze e morte per richiamarli all’intimità divina dalla quale si sono allontanati.
Forse, a comprendere tutto questo, è proprio il ladrone pentito che a Gesù si rivolge come ad un amico, come di un amico si fida e umilmente gli chiede di ricordarsi di quell’ora che li vede dividere lo stesso destino: “Ricordati di me”.
Forse fede significa ritrovare la smarrita amicizia con Dio e sapere di poter contare su di Lui ogni volta che gli chiediamo umilmente: “Ricordati di me”.