Rif.: Is 2,1-5; Sal 121/122,1-2.4-9; Rm 13,11-14a; Mt 24,37-44
L’anno liturgico che inizia oggi si apre all’insegna del viola dei paramenti e del tono solenne delle letture, per ricordarci che siamo in un “Tempo forte” di riflessione e di preghiera. Ma al di là di questo è in Avvento che fiorisce la più bella delle virtù teologali: la speranza; questo infatti è il tempo che guarda al luminoso futuro della rinnovazione, quando il Signore sarà riconosciuto come l’unico, vero Dio dell’universo e, dopo il lungo e travagliato cammino della storia, i popoli, abbandonata ogni guerra, si dedicheranno al pacifico lavoro dei campi (I lett.). Speranza che già vede vicino il giorno della salvezza e ci spinge ad abbandonare “le opere delle tenebre e indossare le armi della luce” (II lett.). Speranza che anima l’attesa di Cristo che tornerà vittorioso, speranza che tiene vivo il ricordo di Dio sempre vicino, sempre presente, così che mentre ci dirigiamo verso di Lui è Lui stesso a venirci incontro.
Speranza che ci spinge a “rivestirci del Signore Gesù Cristo” con un gesto simile a quello del sacerdote che indossa la stola. Fra i paramenti sacri la stola è per eccellenza il simbolo del ministero sacerdotale, essa indica che le azioni, la volontà, i sentimenti del sacerdote, tutto è sottoposto all’autorità, alle azioni, alla volontà, ai sentimenti di Cristo. La stola è il dolce giogo del Signore, indossarla significa anche indossare la croce che portò il Signore Gesù e farla propria. Anche il cristiano è chiamato a rivestirsi di Cristo allo stesso modo, solo così la vita si trasformerà in una attesa vigile e in un incontro gioioso.
Nel Vangelo Gesù paragona la sua venuta a quella improvvisa del ladro, ma Dio non viene a derubarci della vita, essa è il Suo dono inestimabile. Si sentiranno derubati solo coloro che non sono vissuti nell’attesa, solo coloro che hanno dimenticato Dio, quelli che si sono consegnati alla quotidianità della vita e l’hanno resa uno scialbo scorrere di giorni. Gesù cita i giorni del diluvio, anche allora ci si dimenticò di Dio, e tutti furono travolti tranne Noè e la sua famiglia.
L’episodio biblico serve a Gesù per metterci in guardia: improvviso come il diluvio sarà il suo ritorno su questa terra: “nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo” (Vangelo). L’Avvento prende così la chiara connotazione di tempo di attesa e di preparazione al ritorno del Signore, ritorno di cui il Natale è anticipo e garanzia, e, pur vivendo nell’attesa, fin d’ora godiamo i benefici di quella Luce che Cristo ha portato al mondo.
La preparazione del presepe, i pastori, le piccole luci che lo adornano, tutto diviene simbolo dell’avvento, tempo del “già” e del “non ancora”. Tempo in cui siamo chiamati a contemplare nella mangiatoia le fattezze di Dio che “già” venuto in mezzo a noi, ma “non ancora” è tornato a giudicare la storia. Egli tornerà, ci dice l’Avvento e in questa attesa siamo chiamati a vivere alla luce del grande mistero in cui “già” lo vediamo Bambino infreddolito nella mangiatoia, lo attendiamo al termine del tempo e lo incontriamo giorno per giorno mentre “viene” a noi nella Parola, nell’Eucaristia, nella Grazia dei sacramenti.