Rif.: Is 62,1-5; Sai 88; At 13,16-17.22-25; Mt 1,1-25
Alle soglie del Natale, con maggiore stupore, guardiamo al mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio che intreccia la sua storia a quella dell’uomo. Una storia fatta di rifiuto e di accoglienza, di scetticismo e fede eroica, come i due personaggi che ci vengono incontro nella I lettura e nel Vangelo: il re Acaz e Giuseppe.
Il primo, Acaz, rifiuta di chiedere un segno a Dio, egli ha paura che questo segno si avveri e sconvolga i suoi progetti di alleanze terrene, ha più fiducia nella tattica umana che nell’intervento divino (I lettura). Allora Dio stesso gli darà un segno, annuncia il profeta: “La vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele”. L’oracolo misterioso travalica il momento storico e trova compimento nella nascita del Signore, nella sua persona e nella sua missione.
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L’altro, Giuseppe, viene definito “giusto” e questo termine, nella Scrittura, indica colui che docilmente segue le vie di Dio, i suoi comandi, i suoi suggerimenti nella continua ricerca di accogliere nella propria vita la volontà divina. Ma il dramma che sta per vivere è una dura prova: la sua promessa sposa si rivela incinta prima della loro convivenza coniugale. Egli ama teneramente quella fanciulla e con lei aveva sognato un futuro sereno, una famiglia. Ed ora avverte con chiarezza lo strazio di sentire che Maria non sarà mai sua, e non solo sul piano fisico. Quella fanciulla, con la sua innocente gravidanza, gli mostra un orizzonte nuovo: nessuno appartiene ad un altro, ognuno conserva dentro di sé una parte sconosciuta ed inviolabile. Quello è il luogo dove solo Dio riesce a penetrare. Il luogo segreto della libertà e della individualità. E’ il luogo della vocazione, della chiamata personale a seguire Dio al quale totalmente apparteniamo, in maniera del tutto unica ed irripetibile. Giuseppe è intimorito, non gli rimane altro che farsi da parte e licenziarla in segreto. Non sarebbe giusto e non se la sente di esporla alla pubblica infamia…”Cosa fare?” si chiede… poi forse le lacrime… poi il sonno e il sogno…
Tornano in mente le parole del Salmo “sul vostro giaciglio riflettete e placatevi!”. Giuseppe si affida a Dio prima di abbandonarsi al sospirato riposo. Nella calma dell’anima, nel silenzio della notte giunge a lui la rassicurazione: “Non temere”, Giuseppe si fida, non chiede prove, non ha bisogno di altri segni: L’amore che nutre per Maria è fatto di rispetto e di stima, non c’è spazio per la diffidenza, gli basta la lieve carezza di un sogno per rasserenarlo. Egli diviene il simbolo di una fede vissuta che al di là delle apparenze, sa cogliere la voce e le indicazioni di Dio anche durante il sonno. La sua fede sarà ripagata ampiamente: egli sarà il primo a stringere tra le braccia il Messia tanto atteso, sarà Giuseppe ad insegnargli le preghiere di Israele, a condurlo alla Sinagoga quotidianamente, al Tempio per il pellegrinaggio annuale. Sarà Giuseppe ad imporgli il nome, quel Nome cambierà la storia, dividerà il tempo, diventerà per ogni uomo invocazione di fede e di speranza, poiché in quel nome è racchiuso il mistero di Dio incarnato per la nostra salvezza: “Gesù, JHWE salva!”