Rif.: Is 60,1-6; Sal 71; Ef 3,2-3.5-6; Mt 2,1-12
Il Dio fatto uomo è Dio di ogni uomo, questo il primo grande insegnamento che ci viene dal Vangelo di questa solennità dell’Epifania. I Magi, infatti, che intraprendono un lungo viaggio per giungere a Betlemme dinanzi al Bambino Gesù, non appartengono né al popolo, né alla fede ebraica. Questa nascita prodigiosa, annunciata dagli astri – dei quali evidentemente sono studiosi – sarà accompagnata da una stella che sarà la loro guida. In un primo momento essi si fermano a Gerusalemme, la capitale, la città santa dove è logico risieda un re, dove è logico nasca quel Messia che perfino i segni celesti annunciano. Ma Gerusalemme, la città dove Dio dovrebbe regnare, ignora la venuta del Figlio di Dio, drammatico presagio della definitiva condanna che qui Cristo subirà.
Il racconto prosegue contrapponendo fra loro diversi atteggiamenti, quelli degli uomini e quello di Dio. Gli uomini, nei quali possiamo riconoscerci, si possono dividere in tre gruppi: il primo, al quale appartengono i Magi e tutti quelli che, come loro, intraprendono un cammino di ragione e di fede, di questi fanno parte gli uomini che, in ricerca, vanno e trovano, trovano Dio che li ha chiamati, guidati e non li abbandona nemmeno quando sono giunti alla meta. (Ai Magi, infatti, un angelo indicherà una strada diversa per il ritorno). Non importano le difficoltà del cammino, le insidie notturne, l’importante è la meta!
Al secondo gruppo appartiene Erode il quale non fa una ricerca personale, ma si affida al “sapere” di altri, si limita al “sentito dire”. Egli vorrebbe annullare Dio e contrastarne il progetto pur di conservare il suo potere.
Il terzo gruppo è quello dei capi dei sacerdoti e degli scribi che hanno fatto dei libri il loro dio. Ciò che conoscono diventa, paradossalmente, il loro limite, impedisce, infatti, di vivere ciò che sanno, di approfondire con intelligenza e amore ciò che conoscono. Il loro sapere è arida fonte di vanagloria, è l’ostacolo che ne impedisce la ricerca, il cammino, l’andare oltre. Essi infatti non seguono i Magi, ma rimangono fermi a Gerusalemme al riparo del “sapere” e del potere. Il loro culto è formale, la loro osservanza è ipocrita e il loro cuore è inaridito e polveroso come le antiche pagine ingiallite che essi consultano.
A questi sentimenti si contrappone il sentire di Dio: Egli non permette a niente e a nessuno di distruggere o interferire con il suo progetto di salvezza. Il Figlio inviato non tornerà senza aver compiuto la sua opera, cosi come profetizzato dal profeta Isaia (55,10): “Come la pioggia o la neve scendono dal cielo e non vi tornano senza aver irrigata la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, […] così sarà della parola uscita dalla mia bocca, non tornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero, e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”. Dio non torna indietro, la sua fedeltà è infinita ed immutabile, Egli è mosso da un amore dinamico, senza confini, né limiti. Oggi Egli è là, nella mangiatoia, domani a Pasqua, sarà sulla Croce, ma continuerà a chiamarci, al di là di ogni fede ed ogni appartenenza e, con il Profeta, a dirci: “Alzati, rivestiti di luce, perché viene (anzi è venuta) la tua luce. La gloria del Signore brilla sopra di te”.