Rif.: Sof 2,3;3,12-13; Sal 145/146,6-10; 1Cor 1,26-31; Mt5,1-12a
Tutte le Letture sono unite dal tema della povertà sulla quale Dio si china pietoso. Anche il Vangelo ci parla di povertà riportando il Discorso della Montagna, nel quale l’evangelista Matteo ci mostra il Signore Gesù come nuovo Mosè che, dall’alto del monte, dona al popolo una nuova legge, legge di amore e di misericordia.
All’inizio del brano c’è un’annotazione preziosa: Gesù parla sì alle folle, ma coloro che si avvicinano a Lui per ascoltare sono i “discepoli”, quelli cioè che vogliono seguirlo e mettere in pratica le sue parole. Ancora oggi le Beatitudini sono un discorso per coloro che si mettono alla sequela del Maestro, ricalcandone le orme e il profilo di vita. Non c’è beatitudine, infatti, che non rimandi a Cristo, alla sua vita, alle sue opere, al suo sentire: seguirle è seguire Cristo più da vicino, comprenderlo meglio, amarlo con dedizione. Le beatitudini infatti sembrano un paradosso, in esse sono detti beati i poveri, i perseguitati, quelli che piangono, quelli che docilmente piegano il capo ad ogni sventura… Non è così che la pensa il mondo, ma dinanzi a Dio ogni nostro pensiero si capovolge e le beatitudini continuano a provocare un che di perplessità e quasi di repulsione… Con difficoltà ci si addentra in esse, ma la sorpresa è che, ad un esame più attento, esse ci conducono ad un traguardo inatteso: la verità su noi stessi, su Dio.
Il povero non è beato per la sua condizione di indigenza, si parla di povero spirituale, è beato perché nell’anima non ha sovrastrutture di orgoglio, vanagloria, superbia; povero è colui che si rende conto di avere un bisogno spasmodico e assoluto di Dio e a Lui si affida. Così il mite non confida nelle proprie forze, che sa essere poche e deboli, ma nell’intervento divino. Si potrebbe continuare all’infinito e si arriverebbe ad una sola conclusione: le Beatitudini ci mostrano la nostra povertà reale, ma anche la ricchezza, la forza, l’amore che Dio ci dona. Ed è a questo punto che le Beatitudini diventano per noi un esempio: non ci è lecito disinteressarci dei poveri e dei sofferenti solo perché Gesù li definisce “beati”. Essi saranno beati, ma per ora la loro sofferenza è reale e deve toccare il nostro cuore come tocca e commuove il cuore di Dio. Se, come abbiamo detto, le Beatitudini sono il profilo di Cristo, ogni povero, ogni sofferente ce ne mostra il volto sofferente! Ma Dio ha anche il volto della compassione e dell’amore e questi devono essere anche i nostri sentimenti nei confronti di ogni povertà e sofferenza. Le Beatitudini sono dunque l’arduo cammino che dalla verità – prima tappa – ci conducono alla pietà, da questa alla fede e dalla fede alla carità, così via fino ad incontrare Dio nei fratelli e nei fratelli Dio.
Le Beatitudini ci fanno guardare da vicino Cristo che venne nel mondo come un seme che cresce e si sviluppa fino a divenire un albero rigoglioso e carico di frutti, ma non è l’albero a nutrirsi dei propri frutti, essi sono destinati a coloro che avendo fame, allungano la mano per coglierli e saziarsene. Accogliere le Beatitudini è cogliere i frutti della Redenzione, è saziare la nostra fame di immortalità, è sperare quando tutto sembra perduto, è scorgere al di là della sofferenza e dell’ingiustizia la mano di Dio che si tende verso di noi poveri della terra.