Rif.. Ez 37,12-14; Sal 129; Rm 8,8-11; Gv 11,3-7.20-27.33b-45
Il tempo scorre e, a grandi passi, ci avviciniamo al mistero pasquale, la Croce si staglia, cupa, all’orizzonte, ma attraverso di essa già filtra la luce della Risurrezione. Tutta la Liturgia di questa domenica, infatti, ci parla della vita che vince la morte.
Ai deportati in terra straniera (I lett.), ormai morti ad ogni speranza, Ezechiele promette una nascita nuova che renderà loro la libertà e la dignità di popolo eletto. Dio aprirà le tombe della prigionia e i sepolcri dell’esilio, lo spirito di Dio rianimerà i corpi fiaccati dalla schiavitù. Ad essa risponde il Salmo sollecitando dall’abisso della miseria e della morte, l’avvento della Grazia e della Vita. Le parole di s. Paolo implicitamente ci dicono che la profezia di Ezechiele si è avverata in Cristo, Risorto dai morti. Gesù, infatti, ci ha donato quello stesso Spirito che determinò la sua resurrezione e che, fin d’ora, ci rende potenzialmente risorti.
La bellissima preghiera del Prefazio rende pienamente comprensibile la celebrazione odierna: Gesù, Dio e Signore della vita, richiama Lazzaro dal sepolcro ed estende a tutta l’umanità la sua misericordia e, con i sacramenti, ci fa passare dalla morte alla vita. La risurrezione di Lazzaro è, quindi segno della potenza ricreatrice di Dio che si cala nella morte degli uomini, penetra al centro di essa, per sconfiggerla definitivamente.
Gesù aveva già riportato alla vita il figlio della vedova di Nain e la figlia di Giàiro, capo della sinagoga, ma in quel caso le morti erano avvenute da poco e, per quanto straordinarie, esse hanno una minore rilevanza. Nel caso di Lazzaro, invece, la morte, avvenuta da quattro giorni, aveva iniziato il suo processo di putrefazione; il suo odore inconfondibile e nauseabondo, disgusta perfino le addolorate sorelle che non osano avvicinarsi alla sua tomba. Ma in questo definitivo processo di corruzione, si inserisce la voce di Cristo: “Lazzaro, vieni fuori!” Un comando perentorio e Lazzaro, vivo, esce ancora avvolto nei panni della morte. E’ la voce di Dio, è la Parola che diede inizio alla creazione, è la stessa che si incarnò nel seno della Vergine, è quella che risuonerà alla fine dei tempi per richiamare alla vita ogni uomo.
“Vieni fuori”, l’invito è rivolto anche noi oggi. Gesù ci chiama ad uscire da tutto ciò che mortifica e distrugge il nostro essere uomini, ci chiama ad allontanarci dalla tomba dei mancati sentimenti, dell’amore non dato, della vita negata, della dignità perduta. Vieni fuori” ed è un grido ancora bagnato di lacrime che, accorato, ci spinge ad allontanarci dall’odore disgustoso di una fede dimenticata e spenta che si accontenta di un vago ricordo di Dio.
“Vieni fuori” ed è tempo di sentirsi amati, di scoprire che Dio si commosse, si turbò, scoppiò in pianto dinanzi alla pietra che chiude per sempre ogni rapporto con Lui, che seppellisce per sempre una vita. Ancora oggi e sempre il suono della Sua voce si fa strada fino in fondo alle nostre tombe, e ci invita a fare nostro l’eco dell’antico salmo: “Dal profondo a te grido, Signore. Io spero nel Signore, l’anima mia spera nella sua parola. L’anima mia attende il Signore.