Accogliere e fare proprio un “nuovo” documento di un Papa, suscita immediatamente la ricerca delle ragioni della sua “attualità” e, quindi, del suo specifico contributo a orientare e alimentare la vita e la testimonianza delle comunità cristiane. Assumere questo atteggiamento non è solo doveroso: l’intelligente cordialità con la quale conviene praticarlo traccia lo spazio in cui vanno insieme, alimentandosi l’un l’altro, una sincera appartenenza ecclesiale e il responsabile rischio della creatività che invita non tanto ad un ossequio di maniera, ma a una piena immedesimazione.
Questi dinamismi possono essere sostenuti e incrementati se il paragone con un testo, nella fattispecie Amoris laetitia, sappia cogliere il suo profilo a tutto tondo, collocandolo in un percorso di lunga durata che aiuta a capire che la sua “novità” non è nella linea di un fungo che, inaspettato, fa capolino tra le foglie di un bosco, ma semmai di un nuovo, vigoroso tralcio di una pianta secolare.
Fuor di metafora: è mia convinzione che Amoris laetitia rappresenti uno dei contributi più originali ad una piena recezione del Vaticano II, soprattutto per quanto riguarda la presenza della chiesa nel mondo, capace di ridare smalto ad una comprensione adeguata della novità espressa da Gaudium et spes.
La decisione di coinvolgere tutto il corpo ecclesiale su un tema che poteva vantare – almeno nel breve periodo – investimenti significativi del magistero ecclesiale, rivela tratti interessanti delle priorità del Papa, soprattutto se si tiene conto che la Segreteria del Sinodo, terminati i lavori dell’assise del 2012, aveva elaborato le proposte per la successiva assemblea che vedevano al primo posto “la tematica cristologica e quella antropologica con particolare riferimento alla Costituzione conciliare Gaudium et spes, 22”.
La differente scelta di Francesco ha mantenuto una speciale attenzione al tema della presenza della chiesa nel mondo, manifestando nel contempo l’intenzione di ridimensionare il peso delle problematiche di carattere teologico-sistematico: semmai al centro è stato collocato uno dei luoghi nevralgici della vita ecclesiale e della società, la famiglia, appunto, proprio dal concilio messa al primo posto tra i “Problemi più urgenti” di cui ci si doveva prendere cura (GS 47-52).
Per questi motivi i frutti preziosi della stagione sinodale sulla famiglia rilanciano a un rinnovato percorso recettivo di Gaudium et spes. Riletta tenendo conto degli accenti peculiari di Francesco, essa manifesta la sua peculiare originale e novità proprio nella seconda parte, nella quale si esprime la coscienza ecclesiale della pertinenza dell’annuncio cristiano alle realtà, ai problemi, alle urgenze che intessono quotidianamente l’umana esistenza. Sullo sfondo sta la convinzione che le ragioni fondative della presenza della Chiesa nel mondo e tra gli uomini sgorgano immediatamente dal suo “essere Chiesa”: Gaudium et spes appare quanto mai attuale nel rivendicare questo profilo originario della soggettività ecclesiale.
Accompagnare i cristiani in questa direzione è una delle vie maestre che il Papa indica per misurarsi con le sfide di “cambiamento d’epoca”, oggi in atto. Occorre riconoscere che è finita la stagione dell’opposizione tra due modelli, mondano e cristiano, di matrimonio e famiglia. L’alternativa è piuttosto prendersi cura della difficile condizione in cui oggi molti uomini sono chiamati a mettere in gioco la propria libertà, nella consapevolezza dei condizionamenti legati all’attuale temperie storica, ma anche mantenendo viva la promessa di un bene possibile e di una vita buona.
Tale indirizzo mette in campo molto di più di qualche restauro cosmetico delle pratiche pastorali. La correzione di alcuni paradigmi lungamente praticati nell’agire dei cristiani nel mondo implica una rinnovata cura delle dimensioni costitutive della sua identità, secondo una duplice traiettoria: la Chiesa è abilitata ad essere una presenza nel mondo e tra gli uomini per il fatto stesso di ‘essere Chiesa’ e quanto più vive la sua missione nel qui ed ora del suo tempo tanto più ritrova se stessa.
Tale indirizzo mette in campo molto di più di qualche restauro cosmetico delle pratiche pastorali. La correzione di alcuni paradigmi lungamente praticati nell’agire dei cristiani nel mondo implica una rinnovata cura delle dimensioni costitutive della sua identità, secondo una duplice traiettoria: la Chiesa è abilitata ad essere una presenza nel mondo e tra gli uomini per il fatto stesso di ‘essere Chiesa’ e quanto più vive la sua missione nel qui ed ora del suo tempo tanto più ritrova se stessa.
Gilfredo Marengo
sacerdote, ordinario di antropologia teologica
presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II
per studi su Matrimonio e Famiglia – Roma