Rif.: Ez 33,1.7-9; Sal 94,1-2.6-9; Rm 13,8-10; Mt 18,15-20
Entriamo così nel vivo di questa bellissima liturgia che, fin dalla preghiera di Colletta, ci chiama all’amore e alla responsabilità fraterna. Sì, perché amare è anche sentirsi responsabili dell’altro è volere il suo bene, è preoccuparsi di allontanarlo dal pericolo e dal male.
O Padre, […] donaci un cuore e uno spirito nuovo, perché ci rendiamo sensibili alla sorte di ogni fratello secondo il comandamento dell’amore, compendio di tutta la legge.
Il compito di annunciare la Parola
La prima lettura si apre con la solenne investitura del profeta Ezechiele, posto come sentinella del popolo, per avvisarlo dei pericoli e salvaguardarlo dall’invasione dei nemici. Attento alla Parola di Dio, ha il compito di annunciarla alla comunità e al singolo, la sorte di ciascuno grava sulle sue spalle. L’appellativo figlio dell’uomo e il compito che Dio gli affida lo rende figura di Cristo e della sua missione.
Mi fu rivolta questa parola del Signore: “O filglio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertitli da parte mia. […] Ma se tu avverti il malvagio della sua condotta, […] tu sarai salvato”.
Non solo il profeta, il sacerdote, ma ogni cristiano è sentinella per il proprio fratello… per vivere il comandamento dell’amore è aiutare l’altro a vivere la propria fede nei momenti di dubbio, di allontanamento, di sfiducia.
La correzione del fratello
Addirittura, Gesù ci chiede di correggere, anche se è molto difficile correggere qualcuno ed è ancora più indigesto essere corretti, ma Gesù ce lo presenta come atto di amore che lega fratello a fratello. Chi sbaglia infatti è e rimane un fratello da amare e da recuperare.
La correzione nasce da un approfondito esame di coscienza perché non si corra il rischio di vedere la pagliuzza nell’occhio altrui e trascurare la trave nel proprio. Solo quando si è ben sicuri dell’errore si va incontro al fratello in privato, perché non sia mortificata la sua dignità, si rispetti il legame di affetto che ci lega a lui e gli sia offerta la possibilità di spiegare, chiarire le motivazioni profonde del suo errore.
Se non basta il colloquio fraterno, si ricorrerà alla parola di qualcuno più autorevole e poi ancora al giudizio della comunità, se anche questo graduale cammino di correzione si rivelasse infruttuoso: sia per te come il pagano e il pubblicano.
Il centro della preghiera
La conclusione di Gesù è dura, ma non possiamo dimenticare che Gesù è venuto proprio per i pagani e i peccatori, bisognosi delle sue cure, del suo perdono e di quella misericordia senza fine che è l’intima essenza di Dio. La frase evangelica, allora acquista un significato del tutto nuovo: considerare chi ha sbagliato un pagano o un pubblicano, significa metterlo al centro della propria preghiera e farsene carico dinanzi a Dio.
Nella preghiera, infatti, si compone ogni discordia e divisione, e solo nella preghiera si può conservare intatta quell’unione al centro della quale si incontra Cristo, la sua misericordia e la tenerezza che tutti abbraccia e perdona.
La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità. Le parole di s. Paolo compendiano il senso di questa liturgia rimandandoci alla carità che tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta (1Cor 13,7) perché gli stessi sentimenti di Dio fruttifichino nel nostro animo. La pienezza della Legge è data dalla carità che la pervade e la riempie in quanto atto di amore di Dio verso l’uomo, quando, calandosi nella vita, essa viene osservata, si trasforma in un atto di amore dell’uomo verso Dio e verso i fratelli.
LR