Rif.: Ez 18,25-28; Sal 24,4-9; Fil 2,1-11; Mt 21,28-32
Pentimento e misericordia si intrecciano nella liturgia di questa domenica, nella quale Gesù narra agli astanti la parabola del padre che chiede ai due figli di recarsi nella vigna. Uno risponde “no” ma poi pentito va, l’altro risponde “si” ma non va. Al centro della parabola campeggia la figura del padre e la sua richiesta tenuta in conto dal primo e disprezzata dal secondo.
L’ipocrisia religiosa
Per comprendere meglio tutto bisogna inserire l’episodio nel contesto che Gesù sta vivendo. Dopo l’entrata trionfale a Gerusalemme, infatti, visto il seguito popolare che Gesù riscuote, i capi dei sacerdoti e gli anziani, temendo sia il calo della loro autorità che le complicazioni politiche, stanno tentando in tutti i modi di mettere in difficoltà il Maestro fino a deciderne l’eliminazione.
C’è dunque una tensione palpabile tra Gesù e le autorità religiose del tempo e questa parabola è a loro diretta perché riflettano sul loro rapporto con Dio. Essi, infatti, sono troppo presi dalla conoscenza delle Scritture, tronfi del loro sapere, amano i libri che danno loro importanza rischiando di allontanarsi dallo Spirito che quella Scrittura anima.
Il combattimento per la fede viva
Ma, come sempre la parola del Vangelo non è legata ad un tempo e ad una situazione, come il vento soffia al di là di ogni confine geografico, così essa si estende a tutti gli uomini di ogni tempo e arriva a noi oggi, parola viva ed eterna, soffio vitale che solleva il velo dell’ipocrisia religiosa, i compromessi e le auto giustificazioni che annebbiano l’anima. Essa vuole dirci che la fede non può limitarsi a pratiche abitudinarie, a preghiere ripetute quasi per scaramanzia, a formule che hanno smarrito il loro significato.
La fede è vita vissuta, è combattimento contro il dubbio, è fedeltà ad una Parola a volte dura e faticosa, è vivere la propria situazione e accettarla come un dono, è svuotarsi di sé per riempirsi delle esigenze, delle afflizioni, delle gioie degli altri e donarsi a loro come Cristo si è donato a noi (cfr. II lett.). Fede è rialzarsi ogni volta che si cade, attingendo forza dal pentimento, che è il dispiacere, la scontentezza, il rimpianto di aver offeso Colui che al di là di ogni colpa continua ad amarci. Fede è anche il proposito di non più offenderlo.
L’autorità paterna e il rapporto filiale
Si può “litigare” con Dio dicendogli no, ma l’importante è sentirsi dolcemente legati alla sua autorità paterna, è pentirsi di un no che non doveva esser detto, e poi recarsi in quella vigna che è simbolo di situazioni difficili, di malattie che non gradiamo, di persone irritanti che ci affliggono… vigna è insomma ogni croce che ogni giorno portiamo perché Dio ce lo chiede dicendoci: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. E l’appellativo “figlio” ci commuove e rende vincolante ogni richiesta sia in termini di affetto che di rispetto per l’autorità ed il rapporto filiale che ci lega al richiedente.
Obbedire è permettere all’altro di vivere e agire in noi. Fare la volontà di Dio è generare azioni degne di Lui, è avere in noi gli stessi sentimenti di Cristo, è allontanarsi dal male, è affidarsi alla misericordia di chi dimentica ogni nostra colpa, di chi attende di scorgere nei nostri occhi l’amore di un figlio verso il Padre.
LR