Rif.: Is 40,1-5.9-11; Sal 84,9-14; 2Pt 3,8-14; Mc 1,1-8
Una terra arida
Come in una composizione musicale le note si rincorrono e si richiamano l’una all’altra in perfetta armonia, così le immagini e i simboli in questa liturgia della seconda domenica di Avvento, in perfetta consonanza, compongono un inno al Signore che viene. L’immagine preponderante è il deserto dove risuona una “voce che grida” e dove Giovanni battezza la folle dei peccatori pentiti.
Il deserto ci rimanda alla nostra vita che, lontana da Dio, diventa come terra arida, senz’acqua e dal deserto, inteso come luogo geografico, trasmigriamo in un deserto spirituale, teologico e temporale che assume il significato del silenzio, della privazione, dell’affidamento a Dio, delle tentazioni e della prova, ma anche del pentimento, della confessione e dell’incontro. Nel silenzio sconfinato del deserto ogni voce risuona più forte e l’anima si riempie dell’eterna voce di Dio, lo cerca e lo desidera. Andare nel deserto, significa mettere a tacere ogni altra voce per fare esperienza di Dio, attenderlo e prepararsi al suo incontro.
La tenerezza del Dio
Ecco il Signore Dio viene con potenza… porta gli agnellini sul petto.
Isaia annuncia la venuta del Signore in un duplice aspetto: quello della potenza e quello della tenerezza. Egli è Dio, il Dio degli eserciti, la potenza è la sua caratteristica più forte, ma ad essa si associa la tenerezza infinita per le sue creature. Tenerezza che lo spinge a farsi uno di loro e a venire tra esse, per condurle e guarirle, poiché, come dice s. Pietro: “non vuole che nessuno si perda …”. E così scopriamo che in Dio la tenerezza e la misericordia precedono la giustizia e il castigo, Egli ci attende più di quanto noi attendiamo Lui, questo il paradosso divino. E l’attesa di noi, pecore smarrite, spinge l’eterno Pastore a venire ripetutamente tra noi ogni volta che abbiamo bisogno di Lui. Così che prima del suo ritorno finale e definitivo, più volte Dio viene nella storia universale ed in quella di ciascuno, per offrire occasione di salvezza e di perdono. Nella prima lettura, il profeta Isaia annuncia l’intervento consolante del Signore che viene a ricondurre gli esuli in patria. Intervenuto nella Storia per salvare il suo popolo, Dio tornerà ancora nel suo Figlio per riscattare l’intera umanità (Vangelo) ed alla fine dei tempi tornerà potente e glorioso per condurci nell’eternità (II lett.).
Nell’incipit del vangelo di Marco – che ci guiderà in questo anno liturgico – leggiamo: “Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio”. E’ Lui Dio che viene, l’Annunciato e l’Atteso, anzi è Egli stesso Vangelo, cioè la Buona Notizia della salvezza e della redenzione.
Christo – la luminosa speranza
La Storia, il Tempo, la folla dei peccatori al Giordano, noi che ci incamminiamo verso l’eternità, tutti attendono la sua venuta e la sua liberazione, ma essa richiede preparazione, impegno, appianamento degli ostacoli. Allora si comprendono le parole del Profeta tanto simili a quelle di Pietro, gli ostacoli da abbattere, le strade da rendere agevoli, le valli da colmare, si trovano nelle nostre anime. Sono i colli dell’orgoglio e della presunzione, la valli della disperazione, le strade tortuose del dubbio, dell’incredulità, dell’indifferenza. Ma in fondo ci attende la luminosa speranza che Cristo, nato nella carne, tornerà, è questo l’impegno che Dio, nel suo Figlio, ha stipulato con l’intera umanità.
Non è lecito chiedere “quando” e il patto che è stato sancito con la sua Nascita, verrà concluso con il suo Ritorno, Dio non è lento, ma la fretta non gli appartiene: “… davanti al Signore un sol giorno è come mille anni e mille anni come un sol, giorno”. A noi non resta che vivere lo scorrere del tempo come dono e segno della benevolenza divina affinché “tutti abbiano modo di pentirsi”. (II Lett.)
L.R.