Dopo l’immagine del Pastore che guida e protegge le pecore fino a dare la vita per esse e dopo l’immagine della vite che alimenta i tralci e i frutti che rimangono in essa, Gesù arriva al cuore del suo discorso: l’amore. Dio è amore, esclamerà s. Giovanni nella sua epistola! Con l’amore si spiega tutta l’opera creatrice e redentrice di Dio, con l’amore e solo per amore si spiega il dono del Figlio e la sua Croce.
Dio è amore, ma per comprendere l’amore di Dio bisogno staccarsi dalla concezione umana che noi abbiamo di questo sentimento che è abissalmente distante dall’innamoramento (passeggera attrazione verso un altro), dal sentimentalismo (che è attratto da immagini romantiche e perde di vista l’essenza e il senso dell’amore), dall’egoismo (che è desiderio di possesso dell’altro limitandone aspirazioni e libertà).
Dio è al di sopra di tutto ciò, il suo amore si fa innanzitutto Dono nel Figlio, l’amore di Dio non è condizionato da preferenze (v. I lett.) e si estende egualmente su tutti gli uomini; è amore che previene l’altro e va in cerca dell’altro amandolo al di là dei suoi meriti e rimanendo accanto all’altro in ogni situazione.
Il verbo “rimanere” diventa la chiave di lettura dell’amore di Dio e ci spiega meglio le immagini del buon Pastore che “rimane” fra le sue pecore fino a farsene carico e della vite che rimane ben piantata sulla terra per alimentare i tralci e donare frutti. Il verbo “rimanere” ritorna anche nel Vangelo di questa domenica nell’accorato invito che Gesù rivolge ai suoi ed a noi “rimanete nel mio amore”.
Non c’è altro per l’uomo che “rimanere” in Dio per essere nutriti dalla sua stessa vita divina, per portare frutti di bene, per lasciare che Dio agisca in lui. Rimanere in Dio riflette l’unione intima e duratura di chi ama e non sa separarsi dall’altro. Ecco che Cristo “rimane” nell’amore del Padre sempre anche quando è agonizzante sulla Croce, perché unica è la volontà che li unisce. Rimanere in Dio allora è anche unirsi alla sua volontà, sempre, è “obbedirgli” amando così come ha fatto Cristo che nell’obbedienza al Padre ha amato il Padre e noi di un amore uguale ed infinito. Questo amore diviene anche il testamento ultimo del Redentore, il suo comandamento finale: “amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati” .
In questo comandamento il Cristianesimo trova la sua originalità e la sua identità, in nessun altra fede, infatti, Dio si pone a modello ed invita l’uomo ad agire come Lui stesso agisce ed ama. Ed allora l’amore del discepolo ricalca le orme del Redentore e diventa amore missionario, amore che va incontro all’altro e all’altro si dona senza riserve, senza egoismo, senza preferenze. Un insegnamento duro che l’uomo fa fatica ad apprendere, così come è stato per Pietro che si stupisce del dono dello Spirito a gente “pagana” (II lett.). E le parole di Gesù “rimanete nel mio amore” tornano e ci fanno riflettere che solo “rimanendo” in Dio possiamo continuamente imparare il senso di amore che è in continua espansione e non sa rimanere chiuso entro alcun confine, liberamente Dio ama e solo con questa sua libertà infinita può raggiungere ogni uomo.
L.R.