At 1,1-11; Ps 46; Ef 4,1-13; Mc 16,15-20
Mistero e gioia si intrecciano in questo giorno che celebra l’Ascensione al cielo del Signore Gesù, atto conclusivo della sua missione terrena e punto di inizio per il cammino della Chiesa.
Ma l’Ascensione è ancora di più, le sue implicazioni sono innumerevoli e le conseguenze stupefacenti. Nel riprendere la gloria che aveva temporaneamente deposto, infatti, Gesù trascina in cielo anche l’umanità che aveva assunto, ma la sua umanità è la nostra umanità e con questa unità divina e “carnale” Gesù siede ora in seno alla Trinità, la sua gloria è speranza e visione della nostra gloria! L’Incarnazione di Cristo diventa scelta irrevocabile, Egli è per sempre uomo, come per sempre è Dio.
L’Ascensione al cielo avviene a quaranta giorni dalla Resurrezione, Quaranta, preziosi giorni durante i quali Gesù continua ad istruire i discepoli, continua a dare prova della resurrezione perché la loro fede sia robusta e pronta alla testimonianza. Periodo di grande spiritualità, questi 40 giorni appartengono alla “gestazione” della Chiesa e sono avvolti nel silenzio quasi totale (escluso alcuni cenni che ne dà Giovanni). Perché ci chiediamo? forse la risposta è che “prima” la compagnia e la presenza fisica di Gesù era un dato oggettivo e sperimentabile da tutti in egual maniera, ora la sua presenza di risorto appartiene al cammino di fede e perciò investe la sfera privata ed intima di ciascuno anche se Gesù continua ad apparire a tutti insieme.
Consideriamo poi che l’Ascensione non è un addio, ma un impegno a tornare per raccogliere i frutti della redenzione che la Passione e Resurrezione hanno seminato nel cuore degli uomini. I nostri addii o arrivederci sono seguiti da una separazione a volte definitiva, ma per Gesù non è così. Salendo al cielo Gesù non si separa da noi, ma rimane in noi, Dio che si fatto vicino a noi, con noi rimane sempre e trova una nuova forma di vicinanza. Nascosto alla vista, Egli è realmente presente, ci guida, ci accompagna e ci parla. L’Ascensione è ancora missione, è incarico di collaborare alla Redenzione del Signore annunciandolo ai lontani e ai fedeli.
Venuto a scacciare il male, Gesù condivide questo potere con i discepoli. E’ il mistero di Dio che si affida e si fida degli uomini (mentre l’uomo continua ad avere tanti dubbi su Dio). Essi sono inviati a scacciare il male in qualunque forma si presenti, e perciò sono resi idonei a questo difficile compito: “parleranno lingue ad essi sconosciute, scacceranno demoni, prenderanno in mano serpenti e se berranno qualche veleno, non recherà loro danno” con l’imposizione delle mani trasmetteranno ai malati la salute e ai peccatori il perdono.
La nostra vita è, deve essere, risposta a questa vicinanza divina corrispondendo ad essa con una condotta degna della presenza di Cristo e della vocazione alla quale ci chiama (v. II lett.). Ancora una volta ci troviamo di fronte all’unica strada percorribile per un cristiano l’amore, l’amore che unisce e perdona, che tutto copre e crede, che tutto sopporta ed ama (cfr. s. Paolo, inno alla Carità). Amore che fin da ora ci fa vivere con nel cuore la speranza e nell’anima la fede che Dio venuto, tornerà mentre continuamente è accanto a noi.
L.R.