Rif.: Am 7,12-15; Sal 84; Ef 1,3-14; Mc 6,7-13
La Liturgia di questa domenica ci parla della vocazione e ce ne dà esempio attraverso le figure di Amos, profeta dell’Antico Testamento, e i dodici Apostoli che Gesù chiama a sé. Per riflettere meglio è necessario innanzitutto interrogarsi sul cosa sia la vocazione, cosa rappresenti nella vita di un uomo, quali implicazioni comporti ed infine il perché della vocazione.
Domande difficili per le quali in realtà non c’è sempre una risposta, non a caso la preghiera di Colletta II parla di “mistero dell’amore di Dio e di vera dignità dell’uomo”. E che, parlando della vocazione, si parli di mistero lo dimostra il profeta Amos che, senza spiegarsi né come, né perché, si trova chiamato, “preso” – quasi intrappolato – da Dio e destinato ad una missione nuova ed inaspettata, anzi inadeguata ad un “pecoraio” e “coltivatore di piante di sicomoro”, quale egli stesso si definisce.
Stesso discorso per gli Apostoli presi durante il lavoro, in un giorno qualunque di pesca e di fatica. In entrambe le situazioni notiamo forti parallelismi: Dio non si annuncia, irrompe improvviso nella loro vita e li chiama senza una motivazione apparente che giustifichi una tale scelta: perché tra tanti pecorai Amos, perché tra tanti pescatori Pietro, Giacomo, Giovanni, Andrea e non altri?
Dignità dell’uomo, dignità della vocazione
Per tutti un compito superiore alle loro capacità e cultura, per di più tutti vengono inviati senza mezzi di sussistenza che li rendano autonomi, ma sottoposti alla carità e all’accoglienza altrui. In questa assoluta povertà ancor più risplende il potere loro conferito: parlare in nome di Dio, scacciare demoni, guarire l’anima dei peccatori e il corpo dei malati.
Emerge da questa premessa il senso profondo della vocazione: collaborare con Dio ed “aiutarlo” nell’opera della salvezza diventando la sua voce, i suoi piedi, le sue mani. Allora non conta più la povertà materiale e spirituale, ma la dignità che l’uomo ha agli occhi di Dio. Per questa sua dignità l’uomo merita di essere salvato e merita di collaborare con Dio. Per restaurare tale dignità Dio ha concepito dall’eternità un progetto di salvezza e Cristo ha donato il suo Sangue. (cfr. II lett.)
Portare ad ogni uomo il Vangelo
Ma ciò che colpisce è che nel bene e nel male l’uomo si confronta con Dio che dona in maniera “sovrabbondante” sempre. Così noi siamo amati e perdonati non in proporzione ai nostri meriti o le nostre colpe, ma in proporzione alla sovrabbondante grazia di Dio che riversa su di noi tutto il suo essere infinito. (cfr. II lett.)
Un forte insegnamento ci viene da questa splendida liturgia che ci chiama a dare generosa risposta a Dio poiché ogni credente è un uomo che Dio salva e chiama, un uomo che Dio “prende” quando meno se lo aspetta perché annunci al mondo il suo amore infinito, dica ad ogni uomo che dall’eternità siamo stati fatti figli nel Figlio e che nel Vangelo “riceviamo il sigillo dello Spirito Santo che è caparra della nostra eredità”.
“Ascolterò che cosa dice Dio” prega il salmista e noi ascoltando Dio oggi abbiamo appreso che se la fede è adesione alla parola di Dio, la vocazione è finalizzata a portare ad ogni uomo di ogni luogo in ogni tempo l’annuncio gioioso della salvezza.
LR