Mc 6, 7-13
La Parola di Dio sulla quale la Chiesa ci invita a riflettere oggi parla di vocazione che non è una roba riguardante solo i vescovi, i preti, le suore o le persone consacrate, ma ogni credente. Infatti ciascuno di noi, oltre alle diverse attività in campo sociale, in quanto cristiano, ha il compito di testimoniare la propria fede in Cristo. Nel Vangelo odierno ognuno può riconoscersi fra coloro che Gesù ha scelti e mandati per annunciare la salvezza. Questa pagina di Vangelo non può lasciarci tranquilli essa ci dice che tutti, nel proprio stato di vita, sono chiamati ad evangelizzare. Non solo il Vangelo, ma anche la Chiesa da tanti anni ci ricorda la necessità dell’evangelizzazione.
Basti citare i vari documenti pontifici sull’argomento, a cominciare dall’ Evangelii nuntiandi del beato Paolo VI e la Redemptoris missio di san Giovanni Paolo II, fino all’ Evangelii gaudium di papa Francesco. Sono testi che incoraggiano l’impegno del singolo e stimolano a creare progetti pastorali per le parrocchie, per comunità religiose per i gruppi di fedeli. Come dice papa Francesco “è necessario passare da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria”.
E la Parola di Dio, oggi ci esorta a svolgere questo compito di cui siamo investiti come cristiani, specialmente dopo aver ricevuto il sacramento della Cresima. Come gli apostoli che dopo l’effusione dello Spirito Santo uscirono dal Cenacolo e si misero a predicare, così il cristiano dopo la Cresima è spinto da quello stesso Spirito a dare testimonianza della fede in Cristo.
Dio può rafforzare la nostra debolezza
Spesso noi sosteniamo di essere incapaci di intraprendere un compito così grande e, adducendo come scusa le nostre debolezze e i nostri peccati, dichiariamo che non possiamo essere buoni apostoli di Cristo. E’ vero, la vita personale deve essere coerente con le parole. Paolo VI diceva che le parole istruiscono, ma gli esempi di vita attirano a Cristo. Ma le letture smentiscono le nostre paure, esse ci mostrano infatti che i chiamati: il profeta Amos e gli Apostoli sono del tutto inadeguati alla loro missione. Quando il sacerdote Amasìa, sacerdote ufficiale del regno, scaccia Amos e lo disprezza, il profeta non nega l’umiltà della propria origine e conferma di “essere un pecoraio e un coltivatore di sicomori”. Ma rivendica la propria dignità di profeta che Dio stesso gli ha conferito quando gli ha ordinato: “Va’, profetizza al mio popolo Israele”.
San Paolo ci ricorda che tutti siamo scelti e chiamati da Dio ancor “prima della creazione del mondo” e che siamo stati eletti a condividere la vita di Dio nell’eternità. L’apostolo sottolinea che la dignità dei cristiani consiste nell’essere figli di Dio e i figli continuano l’opera del proprio padre. Già questa nostra dignità ci renderebbe degni e capaci di continuare l’opera della salvezza ed inoltre vediamo che l’incontro con Gesù ha un potere trasformante nella vita dell’uomo e infatti Gesù dirà agli Apostoli: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”.
La nostra incapacità non è più una scusa valida, poiché Dio dà sapienza agli ignoranti e potenza ai deboli e non parliamo di miracolo, ma di una trasformazione lenta, una formazione che viene dalla vicinanza con Cristo, dall’imparare da Lui seguendolo giorno dopo giorno.
Proseguendo nella nostra riflessione troviamo illuminanti le parole del Vangelo: “Egli chiamò a sé i dodici” prima di andare è necessario incontrare Cristo e sostare presso di Lui per conoscerlo e amarlo. Ed è solo successivamente che Gesù “prese a mandarli” la missione viene dopo aver vissuto con Gesù, averlo conosciuto ed amato. Infatti come si potrebbe annunciare uno sconosciuto o un estraneo?
Un compendio missionario
Il brano di Marco è un compendio missionario e continua ad offrire di spunti di riflessione. Ed ecco un altro aspetto dell’evangelizzazione che ci è mostrata non come compito individuale, ma comunitario, Gesù infatti manda i suoi discepoli “a due a due”. E non è nemmeno un fatto economico “Ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio, né pane, né sacca, né denaro nella cintura”.
Due verità emergono da questa premessa, la prima è che il missionario è affidato completamente alla provvidenza divina, anzi la sua stessa vita non appartiene più a lui ma a Dio, forse per questo Amos quando parla della propria vocazione dice: “Il Signore mi “prese”. La seconda verità è che lo scopo della missione è raggiungere l’uomo nella sua realtà quotidiana, condividerne le difficoltà, instaurare con lui un dialogo che porti ad approfondire la conoscenza reciproca. E se si riflette vediamo che questo è proprio quello che ha fatto Gesù quando è venuto a vivere tra noi. L’evangelizzazione è allora ripercorrere lo stesso cammino di Cristo.
Inoltre Gesù non ha solo “parlato” dell’amore del Padre, ma ce lo ha mostrato in ogni suo gesto, in ogni sua azione ed altrettanto è chiamato a fare il discepolo. Ed ecco che il Vangelo parla delle guarigioni operate dagli apostoli: “Ungevano molti malati e li guarivano”, queste parole innanzitutto provano che ogni sacramento è stato voluto e istituito da Cristo, anche il “sacramento degli infermi” poiché la guarigione, sia fisica che morale, è sempre segno della tenerezza divina che non vuole la sofferenza dei suoi figli, ma loro felicità eterna. La cura e l’assistenza degli ammalati all’interno della Chiesa è una predicazione fatta non solo con le parole, ma vissuta nei gesti d’amore che annunciano l’amore che Dio ha per noi.
Don Andrzej Dobrzyński