Rif.: Gs 24,1-18; Sal 33; Ef 5,21-32; Gv 6,60-69
Il popolo di Israele è giunto alla terra promessa ma prima di entrarvi Giosuè, che ha preso il posto di Mosè, pretende un impegno formale, una dichiarazione di lealtà o di abbandono nei confronti del Signore. All’unisono il popolo promette fedeltà: troppi i prodigi e le meraviglie cui ha assistito in questi quarant’anni, quando ha sperimentato la sua costante presenza sia di notte che di giorno, quando ha udito la voce del Signore e ne ha ascoltato le parole. Parole a volte dure, ma il più delle volte di misericordia e di perdono, e proprio attraverso le parole il popolo ha stretto un legame con Dio, lo ha conosciuto, lo ha apprezzato, invocato e pregato. Dio è come l’identità stessa del popolo: egli è il Signore!
Alla stessa conclusione arriva, secoli dopo, Pietro, quando Gesù chiede ai Dodici se anche loro vogliono abbandonarlo ed egli risponde: “Da chi andremo?” La domanda di Pietro è anche la nostra domanda quando ci accorgiamo che le parole di Dio sono parole insostituibili, sono la verità che cerchiamo, la speranza che desideriamo, la fede alla quale ci aggrappiamo, solo in esse infatti troviamo le risposte che nessun altro può darci. E con Pietro rispondiamo: “Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”. Ma rimane lo stupore nel vedere che, pur di raggiungere l’uomo, Dio usa le sue stesse parole per rivelarsi e farsi conoscere, per avvicinarsi e farsi comprendere. Un Dio che ha assunto pienamente la natura umana e perciò scandalizza e rischia di non essere compreso. E’ quello che sta vivendo Gesù al termine del suo lungo discorso sull’eucaristia.
“Questa parola è dura” il frettoloso commento dell’uditorio e molti lo abbandonano. Eppure Gesù afferma che le sue parole sono spirito e vita, complemento del pane vivo che è la sua carne e il suo sangue. Pane e Parola sono il cibo quotidiano che Egli ci offre come insostituibile alimento della vita spirituale. E che la Parola di Dio sia elemento vitale ed efficace ce lo dice lo stesso Gesù quando nell’Ultima Cena afferma:
Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato” (Gv 15,3).
La Chiesa accoglie le parole del Signore e le fa sue e dopo la proclamazione baciando il testo sacro il sacerdote invoca per sé e per il popolo: “per evangelica dicta deleantur nostra delicta – per le parole del Vangelo siano cancellati i nostri peccati”. Sempre, la Parola di Dio accompagna i segni e i gesti dei sacramenti comunicando efficacia agli uni e agli altri. San Paolo scriverà agli Efesini che Gesù ha dato la sua vita per la Chiesa per renderla santa e costantemente la purifica per mezzo dell’acqua e mediante la sua parola (cfr. II lett.). Molti gli insegnamenti che scaturiscono da questo brano evangelico che ci porta a riflettere sulla parola di Dio, prezioso dono che a volte rischia di disperdersi tra le tante parole che assordano le nostre giornate. Parole umane vuote che rischiano di perdersi e di perderci allontanandoci da Dio, fonte unica di salvezza e di vita, di verità e di misericordia. Le nostre parole infatti sono valide e producono effetto solo se portano Dio, lo annunciano e lo lodano. Quale verità infatti possiamo noi proclamare che non sia quella di Dio, quale consolazione dare se non quella che il Signore ci offre, quale perdono donare se non quello che noi stessi abbiamo ricevuto in Cristo? Nutrirsi della Parola di Dio è aderire a Lui, e rinvigorire la fede, è fare nostra la sua stessa carità, è invocarlo con le parole che Egli stesso ha ispirato, è fare nostro il canto del salmista e con la Chiesa pregare:
Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode. Io mi glorio nel Signore … non sarà condannato chi in lui si rifugia.
L.R