Rif.: Is 50,5-9a; Sal 114; Gc 2,14-18; Mc 8,27-35
Le letture ci conducono ad una riflessione sulla sofferenza, tema sempre attuale e mistero inspiegabile. Eppure il cristianesimo fa della sofferenza l’emblema dell’amore che si dona, della misericordia che perdona, dell’accettazione che salva.
Non si può seguire Cristo tenendosi lontani dalla Croce. Gesù ci insegna che c’è un legame profondo tra Lui e la Passione, tra Lui e il Calvario, tra Lui e l’accettazione della volontà del Padre che lo vuole Messia Redentore.
Ne troviamo profezia nella Prima Lettura nella quale il profeta Isaia ritrae lo stato d’animo del “Servo” (Cristo) che non si sottrae a nessuna prova, anzi si presenta ad esse forte perché fiducioso della costante assistenza divina, ne troviamo dichiarazione incontestabile nel Vangelo, quando Gesù rimprovera Pietro.
Il discepolo, unico fra tutti, aveva riconosciuto nel Maestro l’Unto, il Cristo inviato da Dio, ma poi la sua concezione tutta umana della salvezza gli impediva di vedere un Cristo sofferente e men che mai crocifisso. Il discorso di Gesù sulla sofferenza e la Croce che lo attendevano lo sconcertano e lo confondono e così Pietro si sente in dovere di rimproverare il Signore. La risposta di Gesù è dura: “Lungi da me Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. L’orizzonte si apre sulla diversità che c’è tra il pensiero di Dio e quello dell’uomo. Ciò è spiegabile perché noi abbiamo visione solo del passato e del presente, ma di ciò che oggi pensiamo e facciamo non conosciamo le conseguenze, seminiamo senza avere visione di ciò che crescerà dai nostri progetti e azioni, mentre Dio ha una conoscenza globale di ciò che è, che era, che sarà. Nella sofferenza non riusciamo a scorgere nulla di buono, essa è lo scoglio contro il quale urtiamo costantemente: la sua durezza ci fa tremare, il suo fantasma, per alcuni, è più terribile della stessa morte. Eppure Gesù ce ne parla come della propria identità e come condizione indispensabile per seguirlo, per testimoniare la nostra fede in Lui.
Il grande insegnamento di questa domenica è che non c’è fede se non si incontra Cristo crocifisso, non c’è fede se la Croce non viene amata come l’unico strumento di salvezza che Dio ha voluto per il suo Figlio Prediletto. Non c’è fede senza accoglienza della croce, se continuiamo a chiedere segni e miracoli; il Segno è la Croce: unico, straordinario miracolo d’amore.
La Croce mette alla prova ogni scetticismo, distrugge ogni tentennamento, o Cristo è il Figlio che compie l’inaudito sacrifico di offrire se stesso per la salvezza del mondo o la croce è uno dei tanti problemi irrisolti della storia.
“E voi chi dite che io sia?” La domanda di Cristo è scelta di vita: o essere per Lui al di là di ogni nostra opinione o aspettativa, o essere contro di Lui e avviarci ad un’eternità senza speranza. Dal dilemma ci riscuote l’inesorabile fluire del tempo, essere per Cristo significa vivere la propria fede con le opere, (II lettura), divenire dono per i fratelli come Cristo è dono per noi.
Quella di Cristo è domanda che attende risposta, che attende sequela, che attende da noi forza nelle prove e nella sofferenza, che attende testimonianza di fronte al dolore.
“E voi chi dite che io sia?” la domanda è personale e comunitaria allo stesso tempo e attende una risposta sia dal singolo che dalla comunità.
La Chiesa e i suoi membri sono perennemente interpellati in ogni loro situazione o scelta: “E voi chi dite che io sia?” le sue parole tracciano un cammino di risposta a Lui che per primo, con forza, ha “presentato il dorso ai flagellatori, le guance a coloro che gli strappavano la barba, non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi”
Un impegno forte che non possiamo affrontare senza l’aiuto della preghiera:
O Padre, non abbandonarci alla nostra miseria. Il tuo Spirito Santo ci aiuti a credere con il cuore, e a confessare con le opere che Gesù è il Cristo, per vivere secondo la sua parola e il suo esempio, certi di salvare la nostra vita solo quando avremo il coraggio di perderla.
L.R.