Rif.: Ger 31,7-9; Sal 125/126,1-6; Eb 5,1-6; Mc 10,46-52
Le letture di questa domenica oltre al significato letterale hanno un forte simbolismo che ci permette di vedere nel cammino di ritorno degli esuli e nella vicenda del cieco Bartimèo, la nostra stessa vicenda umana e cristiana. Negli esuli che tornano gioiosi alla loro terra si riflette il cammino dell’umanità che dopo l’esilio terreno “ritorna” alla casa del Padre. Dio stesso guida “il resto di Israele”, di quelli cioè che gli sono rimasti fedeli anche nel disagio e nella sofferenza dell’esilio, quelli che non si sono stancati di pregare, che hanno saputo attendere l’intervento divino nella storia e nella vita. Guida insostituibile e Padre amoroso è Dio stesso che rende agevole il cammino spianando la strada e prendendosi cura dei suoi figli più deboli ed infermi: il cieco, lo zoppo, la donna incinta e la partoriente.
E di infermità si parla anche nel Vangelo: un cieco, Bartimèo, che mendica alle porte di Gerico, “sente” passare Gesù. Egli ha sentito parlare di lui, del Figlio di Davide, unico mezzo per attirarne l’attenzione è la voce e la usa gridando, invocando, supplicando: “abbi pietà di me”. Pietà della sua condizione di debolezza, della sua difficoltà di malato privo della vista. Male che impedisce di vedere, che priva della luce, male contrario alla stessa vita che è un “venire alla luce”.
Dio si ferma, ne ascolta il grido, lo chiama, lo vuole accanto a sé. Cristo ha pietà di lui della sua infermità e di tutto quello che ne consegue: l’emarginazione, l’impossibilità di svolgere un lavoro dignitoso, l’umiliazione di elemosinare e attendere che qualcuno si accorga della sua mano tesa, l’infelicità di andare solo dove gli altri lo conducono e il buio, buio, buio.
Appena sente che Gesù lo attende il cieco getta via il mantello e corre da Lui senza esitazioni al contrario del giovane ricco che non seppe rinunciare ai suoi tanti averi, il cieco si priva della sua sola ricchezza, unico riparo nel quale avvolgere la solitudine nel freddo della notte. Il giovane ricco aveva letto negli occhi di Gesù l’amore e, triste, se ne era allontanato, Bartimèo che non vede invece gli corre incontro con gioia e, riacquistata la vista, lo segue.
Anche nel breve tratto di strada che il cieco percorre per arrivare a Cristo si intravede il simbolo del cammino che ciascun credente compie nel buio della fede. Noi non vediamo Cristo, ma ascoltiamo la sua voce che ci chiama personalmente a seguirlo nelle alterne vicende della vita. Non vediamo, ma crediamo e nella fede seguiamo Colui che si è reso simile a noi nelle infermità, Colui che Dio ha costituito nostro Salvatore e che offre se stesso in sacrificio per noi, come lascia intendere la seconda lettura.
Gesù è l’incarnazione della tenerezza divina che non vuole la sofferenza e l’infelicità delle sue creature, ma è venuto a trarle dalla loro misera condizione, per condurle alla felicità eterna. La profezia di Geremia, si è attuata in Cristo, che si è posto a capo del lungo corteo dell’umanità sofferente- simboleggiata dagli zoppi, dai ciechi, dalle donne incinte e partorienti (v. I lett.) – per donare ad essa guarigione e salvezza e ricondurla alla felicità eterna di trovare in Dio il Padre che da sempre ci ama.
Dio, luce ai ciechi e gioia ai tribolati …, fa che tutti gli uomini riconoscano nel tuo Figlio unigenito, la tenerezza del tuo amore di padre e si mettano in cammino verso di te (Colletta II)
L.R.
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