Rif.: 1Re 17,10-16; Sal 145; Eb 9,24-28; Mc 12,38-44
Due povere vedove si stagliano protagoniste nella liturgia di questa domenica che ci introduce nel tema del dono di sé sulle orme di Cristo Signore.
La prima incontra il profeta Elia che le chiede di preparagli una focaccia, ella risponde di avere solo un pugno di farina e pochissimo olio, solo ciò che basta a sfamare lei e suo figlio per quello giorno, poi sarà la morte. Il profeta insiste che la vedova prepari “prima” per lui una focaccia, poi Dio provvederà.
La seconda vedova invece arriva silenziosamente tra il vociare della folla e il tintinnio sonoro delle monete che, copiose, cadono nel tesoro del Tempio. A Gerusalemme è la grande festa, la Pasqua, numerosi i pellegrini, numerosi i notabili e gli appartenenti alla classe sacerdotale. Una tacita gara si svolge tra di loro a chi si mostra più fervente, più ricco, più importante e degno di onore. Verso di questi Gesù esprime una dura condanna, la loro è una fede posticcia, esibita per ricevere lodi, in realtà il loro cuore è lontano da Dio alle cui narici non arriva l’odore dei loro soldi, alle cui orecchie non arriva il suono delle loro finte preghiere, fatte per recitare davanti agli uomini, esse ricadano a terra. Il loro cuore è avido, le loro ricchezze sono il frutto di ruberie ai danni delle vedove e degli orfani. Ancor più stridente allora appare l’atteggiamento di entrambe le vedove che senza pensare a sé, senza riserve, donano “tutto”quello che hanno.
Gesù sottolinea che tutti infatti donano “parte” del loro superfluo, mentre la vedova dona “tutto quanto” ha per vivere, ella getta (per usare l’espressione in greco) tutta la sua vita. Perché Gesù usa questa espressione, ai suoi occhi vale così poco la vita di quella vedova, solo due soldi? Ma non è così, anzi, Egli sottolinea quanto il poco che la vedova possedeva era prezioso per lei eppure ella lo dona con generosità assoluta, generosità che altri più ricchi di lei non conoscono. Il dono della vedova rende Dio “debitore” nei suoi confronti, lo “costringe” a provvedere a lei, ad accogliere fra le sue mani quella vita che a Lui si affida generosamente.
Fra breve un’altra vita si affiderà a Dio incondizionatamente e sarà quella di Cristo in croce. La vedova in un certo senso prefigura il dono di sé dello stesso Gesù.
Anche Cristo infatti si è reso povero e con la sua povertà si presenta a Dio per donare non soldi, ma se stesso, per affidarsi al Padre completamente. Poi sarà quello che Dio vorrà.
Ci avviamo verso la fine dell’anno liturgico e la liturgia ci chiama a fare anche della nostra vita un dono, solo così essa avrà valore agli occhi di Dio, solo così le nostre preghiere giungeranno al suo orecchio, solo così il nostro cuore saprà dirgli che la fede e la lode sono parte della nostra vita, che da Lui ci attendiamo non aiuto, ma l’amore che il Padre ha per i propri figli, poi sarà quel che Dio vorrà.
LR