Sof 3,14-17; Sal Is 12,2-6; Fil 4,4-7; Lc 3,10-18
Il Natale è alle porte, l’albero, il presepe, regali e addobbi sono pronti, ma ancora non è finita, mille altre cose ci sono ancora da fare, il tempo non basta e si rischia di perdere, nell’affanno della sua preparazione, il motivo della festa: il Natale del Signore! Ci pensa la Chiesa che, in questa domenica, detta “gaudere”, ci offre una liturgia che, dall’antifona d’ingresso alle Letture, ci invita all’esultanza e alla gioia.
“Il Signore è vicino!”, ci ricorda s. Paolo e le sue parole, come grido festoso, richiamano la nostra attenzione sulla causa prima della nostra gioia: la presenza del Signore. Cristo venne in mezzo a noi, Cristo è presente fra noi, Cristo tornerà da noi! Celebrare la sua presenza costante da senso all’Avvento e a tutta la nostra vita.
“Il Signore è vicino!”, vicina è la notte nella quale celebreremo il ricordo della sua nascita a Betlemme, vicina e reale la Sua presenza nell’Eucaristia, vicino quando lo invochiamo perché, come cantiamo nel Salmo Responsoriale, di Lui e di nessun altro abbiamo bisogno: “mia forza e mio canto è il Signore; egli è stato la mia salvezza”. Alla nostra felicità corrisponde quella di Dio, come annuncia il profeta Sofonia: “Il Signore tuo Dio…gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con gioia grande” e la traduzione della Bibbia Emmaus riporta con maggiore forza: “Egli danzerà per te giubilando”.
Per corrispondere all’esultanza del Signore l’uomo è chiamato ad affidarsi a Lui in un impegno di vita che, pur non richiedendo grandi imprese, deve essere costante. Un cammino quotidiano di semplicità e di amore, di attenzione per gli altri e di solidarietà, quella stessa che nel deserto è necessaria per la reciproca sopravvivenza, poiché il cammino verso Dio è necessariamente fatto insieme al fratello che da noi attende comprensione e sostegno: “Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha… non esigete più di quanto vi è stato fissato… non maltrattate e non estorcete niente a nessuno…”.
Un cammino al quale sono chiamati tutti e che non tiene conto di differenze sociali: le folle, i pubblicani, i soldati, in ogni stato di vita ognuno può esercitare la giustizia, cercare la pace, ha il dovere di rispettare e riconoscere nell’altro la dignità dell’essere uomo.
Ne è esempio lo stesso Giovanni che, allo stato di sacerdote che gli spettava per diritto ereditario, preferì l’austera vita di eremita che, sola, gli consentì l’assoluta libertà interiore e gli permise di affidarsi totalmente a Dio. Ora, non tutti siamo chiamati all’eremitaggio, ma tutti possiamo liberarci di ciò che ci impedisce di correre speditamente incontro a Dio. Egli non attende altro che gioire con le sue creature, ritrovarle come figli smarriti che tornano a Lui, anzi lo attendono con la stessa ansia e lo stesso amore con il quale Maria attese il suo Bambino.
Dio, che in Cristo ci venne incontro, ci accompagna e ci attende, pronto “a fare salti di gioia” per ogni uomo che si converte. Alla sua attesa fa eco la nostra: “Maràna thà, Vieni Signore” e nel nostro cuore risuona la sua risposta “Si, vengo presto” (Ap 22, 20).
L.R.