Rif.: Is 60,1-6; Sal 71,1-2.7-8.11-13; Ef 3,2-3.5-6; Mt 2,1-12
L’Epifania, festa della luce e della manifestazione del Signore, è oggi svilita a festa dei bambini che ancora una volta ricevono doni, dolciumi e qualche pezzo di carbone, inutile simbolo di punizione, visto che è di zucchero. Nella Chiesa ortodossa, invece, l’Epifania conserva ancor oggi il suo antico significato di Festa che prevale addirittura sullo stesso Natale, perché è il giorno in cui Dio si manifesta, si rivela alle genti, mostra di essere venuto per tutti gli uomini. L’Epifania è la festa dell’ecumenismo, dell’universalità della salvezza, per questo suo implicito significato e l’Epifania viene considerata per eccellenza festa della nascita, del “venire alla luce”.
E all’insegna della luce si svolge tutta l’odierna Liturgia, luce che viene da Dio e che è Dio stesso. Luce fu la sua prima parola creatrice, luce è la sua rivelazione, luce è il suo Figlio Gesù Cristo come lo annuncia Giovanni nel prologo del suo vangelo: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini” e tale lo riconosciamo nel Credo quando affermiamo: “(credo in Gesù Cristo) Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero…”
Una luce, quella di una stella, guidò i Magi fino al Bambino nel quale riconobbero Dio e “prostratisi lo adorarono”.
Non un racconto per bambini, non personaggi da favola, i Magi sono il simbolo dell’uomo che intraprende un cammino di ricerca, che non si accontenta del sentito dire, ma vuole l’esperienza di Dio e anela ad incontrarlo. E Dio non si fa attendere, si manifesta nella luce che li accompagna, una luce che si mostra nel buio della notte, perché solo allora è possibile vedere le stelle. I Magi non si fermano e vanno paradossalmente aiutati dalla notte perché la notte è il tempo del silenzio, del raccoglimento, della paura e della speranza, perché la notte va incontro al giorno, lo anela, lo cerca.
E i Magi vanno. Essi fanno parte di quei personaggi che la Bibbia descrive quasi sorgessero dal nulla, senza storia e senza identità, ma, anche se avvolti dal mistero, essi si mostrano vivi e reali. La loro identità, infatti, non appartiene alla storia, ma a ciò che essi rappresentano nella storia della salvezza. Con saggezza essi hanno esplorato l’universo e negli astri hanno scorto segni che parlano di Qualcuno superiore ad ogni altro uomo che proprio in quei giorni sarebbe nato in Palestina. Non sanno di preciso dove, ma partono perché l’importante è andare, e per trovare bisogna cercare, anche se il buio ci avvolge e il sonno fa chiudere gli occhi.
Il loro difficile e imprevedibile viaggio è lo stesso che ciascun credente compie attraverso la fede. Come per i Magi, infatti, il cammino di ciascun uomo è accompagnato da una luce che è al tempo stesso conoscenza e fede; come il loro, ogni tratto di strada è un procedere nella notte: molte le cose che non riusciamo a vedere, molte le cose che la conoscenza non riesce ad illuminare, molte quelle che la fede non rivela, ma molte anche quelle che per un improvviso bagliore riusciamo ad intuire. Una piccola luce ci fa da guida e ci conforta è la Parola eterna ed indefettibile di Dio che, incarnata in Cristo, si è fatta vicina e comprensibile da ogni uomo. Ancora una volta il cammino termina a Betlemme, piccolo capoluogo di provincia, dove Dio si mostra in un Bambino e manifesta nella debolezza umana la potenza dell’amore divino, dove, ancora una volta, adagiato nella mangiatoia, riconosciamo “l’Amor che muove e il sole e le altre stelle” e con i Magi ci prostriamo ad adorare in Lui il Signore del cielo e della terra.
L.R.