Rif: Is 62,1-5; Sal 95; 1Cor 12,4-11; Gv 2, 1-12
Il Vangelo delle Nozze di Cana ci accompagna in questa domenica che appartiene al Tempo Ordinario, quando la routine ci sovrasta e l’atmosfera natalizia è già lontana. La vita riprende il suo corso abituale fatto di gioie e di dolori e il Vangelo ci ricorda, ancora una volta, che nella gioia e nel dolore il Signore è presente in mezzo a noi pronto a partecipare in ciò che ci rallegra e a farsi carico di ciò che ci affligge.
La scena si apre con un banchetto di nozze, quando l’allegria è al colmo e tutti hanno mangiato e bevuto… Gesù e la Madre sono fra gli invitati, ma Maria si accorge che tutta quell’allegria rischia di naufragare in una colossale brutta figura: manca il vino! Avvisa il Figlio che risponde: “Donna che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. Un dialogo che solo in apparenza appare senza senso e che in realtà nasconde una simbologia altissima!
Maria si rivolge al Figlio perché sa che è l’Unico che può porre rimedio a tale mancanza, ma Gesù sa che provvedere il vino per quel banchetto anticipa ciò che farà nell’Ultima sua Cena, quando il vino diverrà il suo Sangue, testamento perpetuo della definitiva Alleanza con Dio. La Madre intuisce il dramma ma non aggiunge parola, sa che sarà esaudita: nulla ha mai rifiutato a quel suo Figlio, nulla Egli le rifiuterà. E si rivolge ai servi per dire di fare qualunque cosa ordinerà loro. Il maestro di tavola, senza nulla sapere, apprezzerà quel vino, lo giudica ottimo e ne farà i complimenti allo sposo.
Non a caso Giovanni parla del primo Segno che Gesù compì manifestando così la sua gloria e i suoi discepoli credettero in Lui.
Ogni parola della Scrittura è stata scritta per darci un insegnamento, per rafforzare la fede, per dare parole alla preghiera, per animare la nostra vita. Cosa possiamo trarre dalla Liturgia di questa domenica? Ognuno avrà un incontro tutto personale con questa Parola che richiama fortemente la nostra attenzione. Come sposo gioioso Gesù viene fra noi, siamo noi la sua sposa, quella amata e desiderata dall’eternità. Questo ci dice che Dio vuole con noi, con ciascuno di noi, un rapporto intimo ed indissolubile (questa è la premessa di ogni matrimonio che si rispetti) poiché ciascuno è stato amato e desiderato dall’eternità.
Per noi Egli ascolta l’intercessione della sua amatissima Madre, l’Onnipotente per grazia, e Maria non delude le nostre attese e la nostra fiducia, anzi previene ogni nostra richiesta, sa di cosa abbiamo bisogno e la chiede al Figlio: “Non hanno più vino”. Quanta comprensione, quanto amore per l’umanità in quella richiesta che spinge il Figlio di Dio verso l’Ora suprema del suo sacrificio. Maria entra nel mistero della salvezza affidandosi a Dio, fidandosi che ogni cosa che viene da Lui, anche la Croce, diventa un bene, un dono che porta alla salvezza, che fa approdare alla vita eterna.
Gesù non dice si, ma Maria ancora una volta lo previene e, sicura nella propria fede, ordina ai servi di fare ciò che comanda. La sua voce raggiunge anche noi oggi e Maria dolcemente, ma fermamente, ordina: “Fate quello che vi dirà”.
Il Tempo Ordinario si mostra come il tempo della fede quotidiana, che nella gioia e nel dolore volge il suo sguardo a Maria, la Madre che ci protegge e ci segue, con attenzione e dedizione, perché sa che nulla il Figlio le negherà, perché tutto è disposto a fare per la nostra salvezza. Oggi Cristo si rivolge a Lei chiamandola Donna, domani, dalla Croce, la chiamerà Madre perché la sua iniziativa a Cana diventerà la sua missione di essere Madre nostra, Rifugio dei peccatori, Riparo contro ogni male, Ultima speranza di chi a Lei si affida.
L.R.