Rif.: Ger 1,4-5.17-19; Sal 70; 1Cor 12,31-13,13; Lc 4,21-30
Tutta la Liturgia di questa domenica ci parla del profeta, uomo che Dio sceglie prima ancora che sia formato nel seno materno e, prima ancora che nasca, è destinato a portare al popolo la Parola di Dio. Il profeta non ha mai una vita facile, fatto oggetto di invidia, perseguitato a causa di ciò che annuncia, egli è una persona scomoda come è scomodo chi mette a disagio e rimprovera la tua condotta di vita.
Ma Dio è con lui e lo protegge, non come noi intendiamo, infatti il profeta, soprattutto Geremia, viene imprigionato, calato in una cisterna, bastonato, ecc. la protezione divina è diversa da quella umana il profeta soffrirà, ma salverà la sua anima e legherà la sua vita a quella di Dio dimostrando che non è l’uomo che conta, ma Dio e la sua volontà.
Anche il Vangelo ci parla di un profeta, il più grande di tutti: Gesù Cristo, il Figlio amato del Padre. Egli viene a Nazareth, la città dive è vissuto e dove tutti lo conoscono; recatosi nella sinagoga, suscita la meraviglia e l’ammirazione dei presenti, ma questo non fa altro che peggiorare il pregiudizio che lo accompagna. Non è il figlio di Giuseppe, l’umile carpentiere? Tutti sanno che non ha studiato, né frequentato alcuna scuola rabbinica. Ecco allora la richiesta di miracoli, di segni che confermino la sua autorità e diano credito alla sua sapienza. Gesù non si piega a queste richieste, il miracolo è un gesto di amore che Dio compie verso l’umile che cerca aiuto, verso il povero che attende soccorso, il miracolo apre la strada all’incontro con Dio, ne cementa l’amicizia, altrimenti sarebbe pari all’esibizione di un circense.
Il brano di questa domenica è “un capolavoro” che racchiude in pochi versetti l’intero Evangelo e anticipa il tragico epilogo della Croce. Gesù. Infatti, viene rifiutato e “cacciato fuori della città”, portato sul ciglio del monte per essere buttato giù, ma “Egli passando tra di loro si mise in cammino”.
Queste ultime affermazioni ci narrano il dramma del Figlio di Dio che viene rifiutato e condannato, ma questo non avverrà per la volontà degli uomini, infatti non è ancora l’Ora e Gesù si sottrae alla condanna proseguendo il suo cammino e quelli che dovevano accoglierlo lo vedono allontanarsi inesorabilmente.
Molti gli insegnamenti che ne scaturiscono: per riconoscere e accogliere colui che Dio mette sul nostro cammino è necessario liberarsi dall’invidia e dai pregiudizi e guardare all’altro con carità, quella che “tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (II lett.). Carità che ci fa accettare a accogliere l’altro come un fratello, con libertà di giudizio, senza confinarlo alla sua estrazione socio-culturale.
Il profeta è l’uomo che Dio chiama a vivere per gli altri, è l’uomo inviato a distruggere il male e ad edificare il bene, a dare voce alla parola che Dio mette sulle sue labbra. Accogliere il profeta è accogliere Colui che lo invia.
Gesù è venuto, inviato dal Padre, a ristabilire l’antica amicizia, ad offrire salvezza e perdono, ma l’uomo può vanificare un tale progetto con il suo rifiuto e la sua mancanza di fede. Nel brano che abbiamo letto, Gesù si allontana silenziosamente, non tornerà più a Nazareth: i suoi concittadini non hanno potuto portare a termine il loro proposito omicida, ma Gesù compirà la sua missione perché il progetto di Dio non si lascia sconvolgere dai disegni umani. Nazareth diventerà non la fine, ma il trampolino di lancio dal quale Gesù parte per portare la sua persona e il suo messaggio in Israele e nel mondo.
C’è da notare che Gesù si allontana senza lasciare foto ricordo o selfie, come oggi si usa, il suo è un allontanamento silenzioso perché egli cerca il cuore dell’uomo non il chiasso della celebrità, vuole l’adorazione dell’anima e la dedizione della vita, un cuore che ama senza disperdersi nelle vanità di chi pretende senza pregare, di chi vuole asservire Dio e non servirlo.
L.R.
Foto. Kipras Streimikis/Unsplash.com