Rif.: Is 6, 1 – 8; Sal 137; 1Cor 15, 1 – 11; Lc 5, 1 – 11
Se volessimo definire la vocazione potremmo dire che essa consiste in una chiamata da parte di Dio che affida all’uomo una missione che è innanzitutto di collaborazione al suo progetto. Dinanzi ad una tale responsabilità l’uomo sente tutta la sua incapacità, la sua piccolezza e la sua indegnità, ma Dio provvede il prescelto di una grazia particolare, di un’assistenza continua alla quale aggrapparsi e dalla quale sentirsi protetto. Questo in breve il contenuto della liturgia odierna che ci narra la vocazione di tre diversi personaggi: il sacerdote Isaia, il persecutore Paolo e il pescatore Simone (che poi sarà Pietro).
Tutti e tre hanno la stessa reazione, tutti e tre si sentono inadeguati, tutti vorrebbero innanzitutto sottrarsi dalla divina presenza: è l’antica, ricorrente reazione di Adamo che di fronte al proprio peccato cerca di nascondersi, di sottrarsi ad un incontro che lo fa sentire ancora più colpevole…
Ma alla fine tutti e tre si sentono oggetto di una particolare protezione perché Dio stesso cancella la loro impurità: Isaia sarà purificato da un tizzone ardente, Paolo dal Battesimo, Pietro dall’azione redentrice di Cristo così che, dopo la Resurrezione del Signore, egli trasformerà il proprio tradimento in d’amore incondizionato ed una fedeltà assoluta.
La vocazione è una dimostrazione dell’amore che Dio ha per le sue creature in generale e di ciascuno in particolare. La vocazione infatti è sempre finalizzata alla missione e il chiamato non è chiamato per sé, ma per gli altri.
Sia nell’Antico Testamento che nel Nuovo, vediamo infatti che quelli sono chiamati sono destinati a portare agli altri il messaggio di Dio, ciononostante vi è una differenza tra i profeti dell’Antico Testamento e gli Apostoli che troviamo nel Nuovo.
Il profeta aveva il compito di ricordare al popolo l’Alleanza, di richiamarlo dal peccato, di minacciare il castigo o di annunciare la liberazione e l’avvenuta riconciliazione.
Gli apostoli, che significa ”inviati”, sono invece mandati non più al solo popolo ebraico, ma al mondo intero. Inoltre l’apostolo è chiamato non solo a “parlare”, ma ad “operare” in collaborazione con Dio per questo ad essi viene dato “il potere” di scacciare il male, di perdonare, di guarire le infermità fisiche e morali dell’uomo. Attraverso la presenza e l’opera degli apostoli Dio è presente ed agisce nel mondo.
Vi è anche un’altra, profonda differenza tra il profeta e gli apostoli. Il profeta agisce individualmente e trasmette al popolo la parola che Dio gli ispira, egli non è un missionario. L’apostolo invece ha fatto esperienza di Cristo, ha vissuto, mangiato, dormito con Lui ed infine è stato testimone delle sue sofferenze e della sua gloria. L’apostolo non è solo un annunciatore, egli è testimone di ciò che dice ed è pronto a dare la vita per quanto afferma. Il profeta era chiamato singolarmente da Dio, gli apostoli invece, pur essendo chiamati uno per uno, vivono in comunità (v. il Cenacolo), si organizzano gerarchicamente ed agiscono in comunione di intenti e in obbedienza a Cristo: è la Chiesa! La barca di Pietro di cui parla in Vangelo ne è figura ed annuncio. Di Cristo è la parola che essa annuncia, il seme che sparge nel mondo ed è sempre per opera di Cristo che ne raccoglie i frutti a li offre al suo Signore. All’interno della Chiesa ogni cristiano è apostolo. Ogni credente è inviato al mondo perché la voce di Cristo e la sua salvezza non abbiano confini. Nessuno può dirsi esonerato, nessuno può ritenersi indegno, la salvezza ha travolto ogni male, purificato ogni indegnità. Come pioggia benefica il perdono feconda la terra arida dell’anima che a Dio si rivolge invocando: “Dio, tu sei il mio Dio, di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne come terra deserta arida, senz’acqua“.
L.R.
Fot. JAY MANTRI/Magdeleine