Rif. Ger 17, 5 – 8; Sal 1, 1-6; 1Cor 15, 12.– 20; Lc 6, 17. 20 – 26
Taci. Sulle soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane, ma odo
parole più nuove …
Il poeta invita la sua amata a tacere perché ogni umana voce stonerebbe nel suono della natura, solo il silenzio è degno compagno di tanta armonia e bellezza. I versi ci introducono nel silenzio con il quale oggi ci si dovrebbe accostare alla Sacra Scrittura. Immagini di una sempiterna bellezza ci vengono incontro nella prima lettura del profeta Geremia dove al tamerisco che abita terre di salsedine si contrappone la rigogliosa vegetazione che cresce sulle sponde del fiume. Una bellezza che non ha bisogno di parole, ma solo di essere contemplata e compresa: simile al tamerisco che cerca di trarre umore vitale da un terreno senza risorse è l’uomo che confida in se stesso, mentre chi confida in Dio è simile ad un albero sempre verde che non teme la calura estiva, le sue radici affondano in un terreno umido che gli assicura vita e frutti. Eppure scegliere Dio significa confidare in Lui al di là della nostra presente situazione, significa guardare oltre, oltre la sofferenza, oltre le lacrime, oltre le persecuzioni e la povertà, senza stancarsi di tenere lo sguardo alto, fisso in Dio che non vediamo, ma nel quale crediamo e speriamo.
L’immagine di Geremia fa da sfondo alle parole del Vangelo, parole dure da comprendere a dalle quali vorremmo sfuggire, ma sono le parole che Gesù rivolge proprio ai suoi discepoli, a coloro che ha scelto e che hanno deciso di seguirlo. La strada che Gesù indica è la sua stessa strada, una strada che attraversa la sofferenza e conduce alla croce, ma beato chi la percorre. Sono le Beatitudini!
Esse segnano il paradosso della vita cristiana: nulla meritiamo eppure ci viene dato tutto; temporanee le lacrime, eterna la felicità, la nostra povertà è la ricchezza che apre la porta del cuore divino, dove ogni nostro bisogno sarà colmato con amore infinito. Aggrapparsi a questa parola, viverla in ogni situazione, farne l’insegna del nostro quotidiano combattimento; per questa parola vivere, per essa sperare, con essa serenamente morire: a questo ci chiamano le Beatitudini!
Si potrebbe pensare a un Dio che ama vederci soffrire, un po’ invidioso delle ricchezze e della felicità, ma non è così, le Beatitudini sono il profilo di Cristo, il percorso che Egli stesso ha compiuto quando si è sottoposto alla sofferenza e all’incomprensione, all’angoscia della solitudine e alla morte.
Dio non ci chiede una sterile ed assurda sofferenza, la venuta del Figlio fra noi ha fecondato i solchi dell’umanità inaridita dall’odio con la potenza vivificante del suo Amore. Le Beatitudini sono una richiesta di lasciarsi amare da Dio, di mettersi nella condizione impotente di chi ha bisogno di Lui, di chi si aspetta di essere da Lui consolato, di chi si rivolge a Lui per chiedere perdono e si ritrova stretto fra due braccia che da sempre lo attendono.
Le Beatitudini, ancora, sono richiesta di fede e ci donano la speranza: Dio che può tutto e a cui nulla è impossibile può trasformare la povertà in ricchezza, le lacrime in gioia, la morte in vita così come è accaduto al suo Figlio : “Cristo, risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti” (v. II lett.)
Con il salmista preghiamo: “Beato l’uomo che confida nel Signore”.
L.R.