Rif.: Gs 5, 9a – 12; Sal 33; 2Cor 5, 17 – 21; Lc 15, 1 -3. 11 -32
Circondato da pubblicani e peccatori che corrono ad ascoltarlo, il Signore viene per questo aspramente criticato dagli scribi e dai farisei. Ma Egli spiega che è la misericordia del Padre a spingerlo verso chi molto ha peccato, perché tutti capiscano che ogni uomo, peccatore o no, è atteso da Dio con uguale amore e trepidazione. Per far questo Gesù narra l’ormai famosissima parabola del “Figliuol prodigo”, una parabola che crediamo rivolta ai peccatori ed è invece rivolta a chi si crede giusto, a chi, pur avendo una cultura in campo religioso, non conosce Dio, non lo ama, non sente di appartenergli e se ne tiene lontano. La parabola è diretta a noi che quando abbiamo un problema da risolvere, un’angoscia che attanaglia, un rancore che grava l’anima non ricorriamo a Dio, ma preferiamo un amico, un prete, un conoscente …. E’ diretta a noi che ricorriamo ad un orecchio umano ed escludiamo Dio, il Padre che attende la nostra filiale confidenza.
Il Padre attende il figlio peccatore e gli corre incontro e lo abbraccia annullando la distanza, anticipando il perdono, rendendo inutile ogni parola. Il padre non chiede spiegazioni, non avanza rivendicazioni, non chiede perché quel figlio torni a casa non del tutto pentito ma spinto dalla fame, dalla solitudine, dal degrado. Ed è subito festa, una festa che riempie la casa di canti giocondi, di danze armoniose, una festa che scandalizza il figlio maggiore e ne suscita l’invidia e lo scontento.
“… Il padre allora uscì a pregarlo” il padre esce a cercare anche l’altro figlio e lo “supplica” di entrare in casa, di “sentirsi a casa”. E il Padre prega quel figlio che mai si è allontanato, ma che con la sua estraneità ora è più lontano dell’altro, perché mai si è accorto di essere amato, mai ha amato, mai hai sentito sua la casa e le cose che pur gli appartenevano e mai ne ha provato gioia. L’atteggiamento del figlio maggiore è molto simile all’atteggiamento che appartiene alla maggior parte di noi che ci diciamo cristiani, che non abbiamo grandi peccati da confessare, che conduciamo una vita di “preghiera” e di “chiesa” …. Senza gioia, senza sentirci figli di quel Padre che attende anche noi, inconsapevoli peccatori perché incapaci di amare e, pur essendo figli, ci sentiamo servi e allora giudichiamo gli altri e Dio e rimaniamo scontenti di noi e di Lui.
Ma questa è la parte più struggente della parabola, quella che ci induce a riflettere come il Padre esca a cercare anche noi, perché la festa sia completa; nessun padre riuscirebbe a festeggiare uno solo dei suoi figli trascurando gli altri, festa è solo quando la famiglia si riunisce al completo, quando ognuno trova posto nell’amore indiviso del genitore, festa è sentirsi “a casa” e “di casa”, in un ambiente che è nostro tanto da essere insostituibile.
Anche questa domenica il Vangelo ci parla di un Dio paziente e della necessità della conversione e del ritorno ma la luce è tutta in quella festa della quale Dio ci vuole tutti partecipi. Potremmo dire, allora, che conversione è spalancare il cuore alla gioia, è sentirsi protagonisti dell’amore del Padre, conversione è soffermarsi a considerare l’umiltà di Dio che sa attendere sperando nel ritorno dei suoi figli.
L.R.
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