Rif.: Is 43,16-21; Sal 125/126,1-6; Fil 3,8-14; Gv 8,1-11
A Gerusalemme l’atmosfera si carica di tensione e Gesù si ritira nell’Orto degli Ulivi, dove avrà inizio la sua Ora, quasi un’accettazione anticipata di ciò che accadrà. Ma la mattina dopo è di nuovo al Tempio dove la folla lo cerca e lo attende. Egli non si sottrae a quella che è la sua prima missione: annunciare Dio, il suo amore infinito, la sua misericordia senza limiti ….
Gli scribi e i farisei gli conducono una donna colta in flagrante adulterio e la “mettono in mezzo”. Ora noi sappiamo che “mettere in mezzo” significa coinvolgere in pieno, “in mezzo” diventa il luogo delle difficoltà, del ginepraio che si stringe intorno. In questo caso è anche il luogo dell’esposizione alla vergogna, è il luogo dove tutti possono additare e deridere, accusare e giudicare. Ma in questa vergogna, in questo disagio si vuole coinvolgere anche Gesù e la scena assume il colore di un tribunale improvvisato per giudicare e confondere due persone Gesù e l’adultera, accumunate da un giudizio inappellabile e già formulato: colpevoli! La donna è lì senza alcuna scusante e a Gesù viene posta una domanda tranello: la donna va condannata secondo quanto dice Mosè nella Legge o assolta secondo quella misericordia che Cristo va predicando? Rispondendo Gesù smentirebbe o la Legge o se stesso e il Padre. Ma Gesù si china a scrivere per terra, una scritta che rimane misteriosa ma ci piace pensare che sia la nuova storia che Gesù è venuto a scrivere per noi sulla terra, una storia di redenzione e di salvezza!
Alle insistenze di quelli che vogliono da Lui una sentenza, Gesù dice: “Chi è senza peccato getti per primo la pietra contro di lei”…
Questa è la frase chiave di tutta la Liturgia di oggi che ci parla di perdono, ma anche di una seria presa di coscienza dei nostri peccati, dai quali nessuno può ritenersi esente.
Se le scorse domeniche ci hanno parlato della pazienza divina (il padrone che attende ancora un anno prima di abbattere il fico sterile) e dell’attesa del padre che corre incontro al figlio perduto, questa domenica ci dice che, se la quaresima è un cammino di ritorno, questo comincia solo con un serio esame di coscienza. Se non si prende coscienza di essere peccatori come, quanto e forse più degli altri, non si può chiedere perdono, né si può sinceramente perdonare. La donna non fu condannata, perché i presenti, guardando dentro se stessi, hanno visto di essere colpevoli come la donna con la sola differenza che questa era stata scoperta, mentre i loro peccati giacevano, ben coperti, in fondo all’anima.
La liturgia di oggi ci arricchisce ulteriormente dicendoci che Quaresima è il tempo dell’esame di coscienza, è il tempo di perdonare prima di chiedere perdono, è il tempo della fratellanza che è aiuto reciproco nelle difficoltà, nelle cadute, nella preghiera. E’ il tempo di aprire il cuore a Dio perché veda la nostra miseria e l’avvolga nella sua misericordia, tempo di “correre verso la meta” (II lett.) che è Dio stesso che ci attende e ci accoglie nel suo abbraccio amoroso.
L.R.
Fot. SplitShire