Rif.: At 5,12-16; Sal 117/118,2-4.22-27; Ap1,9-11a.12-13.17-19; Gv 20,19-31
La preghiera di Colletta I dischiude dinanzi ai nostri occhi lo sconfinato orizzonte della Pasqua, i suoi effetti, il tesoro di grazia che racchiude e che Dio gratuitamente ci dona: “Dio di eterna misericordia, …, accresci in noi la grazia che ci hai dato, perché tutti comprendiamo l’inestimabile ricchezza del Battesimo che ci ha purificati, dello Spirito che ci ha rigenerati, del Sangue che ci ha redenti …”.
Pasqua è dunque il frutto eccelso della misericordia divina di cui tutta la Scrittura ci parla, e che Dio stesso assume come sua principale caratteristica definendosi “Dio ricco di misericordia”, tanto da perdonare ogni tradimento e dimenticare ogni offesa del popolo. La misericordia divina è espressione di quella infinita carità che “tutto copre, tutto perdona, tutto dimentica” (v. s. Paolo). Misericordia alla quale anche noi siamo chiamati ma troviamo difficilissima da esercitare, così che mentre cerchiamo perdono, ci rifiutiamo di perdonare.
Di questa infinita misericordia la Pasqua è la manifestazione più alta e misteriosa per la quale Cristo diventa il dono del Padre ai peccatori affinché, redenti da Gesù, in Lui moriamo e risorgiamo nel Battesimo. Ma la misericordia divina non si ferma qui: al dono del Figlio si accompagna il dono dello Spirito Santo che è l’essenza stessa di Dio, il suo amore che si fa persona. Lo Spirito è il vincolo eterno che unisce il Padre al Figlio diletto e che ora viene donato a noi perché possiamo legarci sempre più a Dio in ogni necessità della vita per mezzo dei Sacramenti. E’ lo Spirito infatti ci rigenera nel Battesimo, ci da se stesso e i suoi doni nella Cresima, effonde il perdono nella Confessione, dona la guarigione nel Sacramento degli infermi, la prudenza e la fedeltà nel matrimonio, la santità di vita e la sapienza nel sacerdozio. E’ infine lo Spirito Santo ad unirci tutti in Cristo e a fare di Lui l’alimento che nutre e vivifica la nostra vita terrena e ci prepara a quella eterna.
Dall’altro lato c’è la nostra incredulità, l’incapacità di credere a ciò che sfugge alle nostre indagini, alla nostra verifica e così Tommaso, l’apostolo che ben ci rappresenta, dichiara di non credere se non vede, se non sperimenta la realtà corporea di Cristo. Ancora una volta Dio comprende e si piega alla richiesta e Gesù chiede a Tommaso di toccarlo, proprio nei segni indelebili della Passione e della Croce, segni che hanno fatto di Lui il “Crocifisso” anche se ora è il “Vivente”, “Colui che era morto e ora vive per sempre” (cfr II lett.).
Ma Gesù ci mette in guardia: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. La fede non ha bisogno di prove, non pretende di piegare Dio alla nostra incredulità, la fede è fiducia incondizionata, è speranza che Dio mantenga le sue promesse, è consapevolezza della distanza abissale che ci separa da Dio, distanza che Dio ha voluto colmare mandando suo Figlio e facendo della sua Croce un ponte fra cielo e terra, fra la sua santità e la nostra debolezza, fra il nostro peccato e il suo perdono.
Misericordia che non ha mai fine e che Dio continuamente dimostra rimanendo in mezzo a noi per mezzo della Chiesa, così che in essa, Corpo di Cristo risorto, tutta la Trinità continua ad agire, a benedire, a perdonare, a guarire gli uomini dal male: “portavano gli ammalati persino nelle piazze, …, perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro … e tutti venivano guariti”.
L.R.