Rif.: At 14,21-27; Sal 144; Ap 21,1-5; Gv 13,31-33a.34-35
Nella preghiera di Colletta II ci rivolgiamo a Dio chiedendo di “accogliere come statuto della nostra vita il comandamento della carità”. La richiesta nasce dal vangelo che ci riporta all’Ultima Cena, quando Gesù rivolge il suo accorato saluto agli apostoli e, come testamento spirituale, impone loro di amarsi reciprocamente. Anzi Gesù usa un espressione fortissima: “come io ho amato voi, così anche voi amatevi gli uni gli altri”. Gesù aveva definito nuovo questo comandamento e la novità non è tanto nell’amore reciproco quanto nella misura di questo amore: “come io ho amato voi”. Un amore, quello di Dio, che ci stupisce e ci spaventa perché va al di là di ogni nostra comprensione. Un amore che tutto scusa, tutto perdona, che si annienta fino a dare la vita per quelli che l’hanno offeso e vilipeso. Un amore che ritroviamo fin dagli inizi della storia, quando Dio punisce Adamo per la sua colpa, ma lo “veste” per toglierlo dall’imbarazzo, dalla vergogna di scoprirsi nudo. Un amore che viene cantato dal profeta Osea come il canto di un innamorato che spera di riconquistare la sua donna infedele: “… io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore”. Così è l’amore di Dio: un amore che insegue, che chiama, invoca, un amore che si dona totalmente e chiede di essere ricambiato. Se s. Giovanni dice che Dio è amore, possiamo affermare che forse sarebbe meglio dire che Dio è “amare”. Il suo amore infatti non può essere circoscritto in un sostantivo che sottintende un limite, una fissità, il verbo invece, specialmente coniugato all’infinito, ci apre ad un’azione continua, infinita come è infinito Dio che ama espandendo il suo amore su tutto e su tutti. Un amore che scende nel cuore dell’uomo come un balsamo che lenisce le angosce e le delusioni del mondo.
Un amore che diventa segno visibile nella Chiesa preposta e mandata ad annunciare la “lieta notizia” di Dio che è venuto ad abitare tra noi e che tra noi continua a stare proprio per mezzo della Chiesa che agisce per Suo conto e nel Suo nome donando il suo perdono, rendendoci figli di Dio nel Battesimo, nutrendoci con il santissimo Corpo e Sangue di Cristo. Chiesa che vive della comunione tra i suoi membri e unisce tutti tra di loro e a Dio per mezzo dello Spirito Santo.
Amore di Dio che oggi ci chiama ad amare come Lui ci ha amati, senza riserve e senza limiti.
Quello di Gesù è al tempo stesso un comandamento e una sfida, comandamento primario per il contesto nel quale Gesù lo pronuncia, lo dona, lo esige: l’Ultima Cena. Ma è anche una sfida a noi stessi, al nostro egoismo, all’attaccamento ai propri beni e alle proprie opinioni, al desiderio di sopraffare e di primeggiare, al disprezzo che nutriamo verso chi consideriamo inferiore per razza, per condizione sociale, per istruzione, per provenienza …..
Eppure Gesù ci chiede di amare quando già la Croce allunga la sua ombra, quando il tradimento diventa azione concreta, quando il supplizio si avvicina, l’angoscia aumenta e il silenzio del Padre diventa agghiacciante.
“Come io vi ho amato” ci dice Gesù, come io ho continuato ad amare e vi amo, perché nel vostro cuore riesco a scorgere al di là del peccato, la possibilità di redenzione e ve la offro con la mia vita. Vi amo e chiedo di amarvi allo stesso modo perché amare significa vedere al di là della morte la Vita e al di là del peccato il Perdono. Amare è superare i confini della morte, è sintonizzarsi con il cuore di Cristo che si dona senza riserve, è pregustare fin d’ora ciò che ci è promesso, è già vivere ciò che speriamo.
Amare perché all’Amore si può e si deve rispondere solo con l’amore. Amare perché questo è l’unico, universale segno che l’uomo comprende e desidera.
L.R.
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