L’Ascensione non è solo il semplice ritorno del Figlio di Dio al cielo, dal Padre. Dopo l’Incarnazione, la Crocifissione e la Risurrezione, infatti, Gesù torna ad essere il Cristo, l’Inviato che il Padre ha mandato a redimere il mondo. Egli prende con sé parte del creato ed in sé la natura umana aprendo al mondo e agli uomini la via che porta al cielo. Lì saremo simili a Lui, lì potremo vedere Dio faccia a faccia.
L’Ascensione non può considerarsi la partenza di Cristo poiché Egli continua a rimanere con noi, per mezzo dello Spirito Santo, in maniera del tutto mistica e spirituale. Incontriamo così la sua presenza reale nei sacramenti, nella Parola di Dio proclamata dalla Chiesa e annunciata dai suoi testimoni. Ciascuno è infatti chiamato ad essere apostolo che comunica e testimonia che Gesù è il Salvatore!
La Liturgia ci offre quest’oggi due descrizioni dell’Ascensione del Signore, entrambe narrate da Luca. Per prima ci soffermiamo su quella riportata nel Vangelo dove si legge che gli apostoli quando Gesù “si staccò da loro e veniva portato su in cielo” “tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel Tempio lodando Dio” La gioia che essi provano è innanzitutto uno dei frutti dello Spirito Santo, ma rivela anche che nei loro cuori la fede si sta rafforzando, essi stanno riconsiderando il mistero della morte e risurrezione di Gesù anche alla luce dell’Ascensione. La gioia è allora segno che in loro sta nascendo la speranza e l’attesa di rivederlo quando tornerà nella gloria.
La gioia è il segno distintivo del cristiano, ne abbiamo un esempio in san Giovanni Paolo II, egli si è mostrato sempre uomo di gioia nonostante avesse numerosi motivi per essere triste a causa di quanto succedeva nel mondo e nella Chiesa in quegli anni. Ma la fede in Cristo, Signore del mondo e della storia, l’affidamento a Maria gli davano certezza di essere nella mani di Dio. Dalla sua fede sostenuta dallo Spirito Santo, dalla preghiera personale e da quella di tutta la Chiesa scaturiva la sua gioia che è anche certezza di non essere soli, ma di essere una piccola parte della grande comunione dei santi.
Purtroppo però pare che oggi siano sempre più numerosi i profeti di sventura e i predicatori di crisi, anche all’interno della Chiesa. Uomini e donne sempre pronti a criticare che, incapaci di vedere il bene, non riescono a trovare motivi per ringraziare Dio e lodarlo per quanto ci dona.
Noi che ci diciamo cristiani, però, abbiamo il compito di “staccarci” da questo atteggiamento negativo e testimoniare con forza e con gioia la bellezza della vita con Cristo e nello Spirito Santo.
E’ vero che l’atteggiamento critico che ci spinge a vedere solo il male è in parte causato dal male stesso che realmente c’è nel mondo, ma è anche vero che un simile sentimento di negatività rischia di paralizzarci e di far diminuire il nostro impegno nella missione che Cristo ci affida nel Battesimo quello cioè di testimoniare il suo Vangelo.
Il secondo racconto che Luca ci offre è quello contenuto negli Atti degli Apostoli dove leggiamo che essi “stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava”. Un atteggiamento che può significare la volontà di “staccarsi” dal mondo, di isolarsi, per ritrovare una forma di vita “privata” e a volte anche una “fede privata”. E allora si rimane lì a fissare lo sguardo verso il cielo dove è salito Gesù.
Un tale atteggiamento è senz’altro negativo, innanzitutto perché non crediamo alla vicinanza del Signore, ma riteniamo che Egli si sia allontanato definitivamente. Gesù stesso, per mezzo degli Angeli, li riscuote: è tempo di tornare nel mondo poiché il mondo attende l’annuncio della salvezza, della pace e del perdono.
Gli apostoli ricevono l’ordine di uscire dall’immobilismo e di attendere il ritorno di Gesù facendo la storia, cioè cambiando pian piano il mondo perché il mondo viva il Vangelo giorno per giorno.
La fede non è aspettare l’ultima venuta del Signore, ma è prepararsi e preparare il mondo ad attenderlo e a far sì che la vita diventi un cammino comunitario e solidale verso il Regno di Dio.
San Paolo ci esorta a purificare costantemente i nostri cuori e la nostra condotta di vita per trovarci pronti al ritorno di Cristo e conclude dicendo “Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso”.
Don Andrzej Dobrzyński
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