Rif.: Dt 30,10-14; Sal 18/19,8-11; Col 1,15-20; Lc 10,25-37
Molti i commenti sulla parabola del buon Samaritano, numerose le esegesi che hanno individuato nell’agire di quell’uomo generoso lo stesso agire divino che si fa accanto all’uomo sofferente, ne ha compassione e se ne prende cura amorosa. Ma al di là di queste splendide considerazioni, poco ci soffermiamo sul perché la parabola sia stata narrata e quale la sua conclusione.
Essa nasce dalla duplice domanda di un dottore della Legge: “Maestro che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” e: “E chi è il mio prossimo”. Gesù sottolinea il fatto che il prossimo non è quello che ci sta accanto, ma quello a cui noi ci facciamo vicini e a cui volgiamo la nostra attenzione, il nostro interessamento, la nostra premura. Prossimo allora è l’uomo in quanto tale, in quanto bisognoso o sofferente, poco importa poi se sia nemico o fratello carnale, se sia bianco, nero o giallo. Quello che si trova dinanzi a noi è un uomo, con tutta la sua dignità espressa o cancellata, comunque è un fratello perché uomo come noi, in tutto uguale a noi e perciò ne possiamo comprendere le disavventure e i bisogni, le difficoltà e le aspettative…, basta mettersi al suo posto e chiedersi: in questo caso cosa vorrei per me? E se fosse mio figlio o una persona a me cara cosa vorrei per lui? E se io non potessi cosa mi aspetterei che gli altri facessero per lui?
Un segreto semplice che, se applicato, farebbe di questo un mondo migliore, ma a volte si rimane sordi anche dinanzi alla propria coscienza e la voce interiore che ci guida viene messa a tacere. Questa sordità è proprio ciò che ci rende cattivi, disinteressati agli altri e indifferenti, il male è rimanere insensibili alla coscienza che Dio ha arricchito con la sua Parola e i suoi comandi, essi infatti, come dice la prima lettura, non sono lontani da noi ma posti sulle nostre labbra e racchiusi nel nostro cuore. Labbra e cuore, due punti importanti del nostro essere: con le labbra infatti noi comunichiamo, emettiamo sentenze, diamo consigli, elargiamo pareri; il cuore invece rappresenta tutto l’essere umano, la persona stessa e perciò è con il cuore che si dirige la propria vita, si prendono le decisioni importanti è dalla pienezza del cuore che l’uomo parla dirà Gesù.
Arriviamo così alla parte conclusiva della parabola: “Va’ e anche tu fa’ così” che è la stessa alla quale giunge il Deuteronomio: “perché tu la metta in pratica”.
La Parola di Dio quindi non ci è stata donata per essere oggetto di speculazioni filosofiche, di cavilli teologici, di esegesi profonde, essa è posta in noi per essere vissuta fino a diventare testimonianza di vita, fino a renderci imitazione profonda di Cristo, del suo sentire, del suo offrire la vita per curare le nostre piaghe, per guarirci dal peccato, per affidarci al Padre misericordioso che nel suo Figlio Gesù ha voluto abitasse “tutta la pienezza e che per mezzo di lui ed in vista di lui fossero riconciliate tutte le cose” (v. II lett.).
La carità, l’amore per il prossimo, il farsi prossimo è la meta cui è chiamato ogni credente perché è la strada che Cristo ha percorso venendo tra noi, facendosi uomo fra gli uomini per comprenderli meglio, per vivere la loro stessa debolezza, per capirne l’ignoranza e giustificarne il peccato: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. E le sue parole, come olio che lenisce e vino che cura, sono scese sulle nostre ferite e le hanno guarite, sul nostro peccato e lo hanno perdonato.
Farsi prossimo è l’unica strada che ci fa essere in comunione con Dio e con gli uomini.
LR