Rif.: Gn 18,1-10; Sal 14/15,2-5; Col 1,24-28; Lc 10,38-42
L’ospitalità è uno dei cardini della Sacra Scrittura tanto da intravvedere nell’accoglienza dell’uomo l’accoglienza di Dio stesso. Le letture di questa domenica sono uno splendido trittico che, attraverso le scene di Abramo, di Marta e di Paolo, sviluppano il tema dell’ospitalità. Al contrario di quanto si pensa essa non si limita ad caloroso benvenuto o all’offerta di cibo e ristoro, l’accoglienza è qui presentata come un cammino spirituale che dall’uomo conduce a Dio, anzi nell’uomo ci fa vedere Dio che viene a noi pellegrino nel mondo.
Da un lato di questo trittico ideale vediamo Abramo che, vecchio, stanco e forse ancora sofferente per la recente circoncisione, si precipita incontro ai tre che scorge da lontano invitandoli a fermarsi presso di lui. Abramo corre, si prostra, va, sceglie il vitello, lo dà al servo, porta cibo e bevande agli ospiti e poi rimane “in piedi” presso di loro per prevenirne desideri e bisogni e servirli adeguatamente. In questo modo egli dà prova di un’accoglienza degna di questo nome e ha nei riguardi degli ospiti un atteggiamento di servizio generoso al quale sacrifica il proprio disagio e la propria sofferenza. Alla fine del pranzo, Dio (perché di Dio si tratta) mostrerà di aver gradito la disponibilità di Abramo e gli garantisce la nascita del figlio lungamente e finora inutilmente desiderato.
Dall’altro lato c’è la scena evangelica: a Marta, che si lamenta con il Signore perché la sorella Maria l’ha lasciata sola a servire per ascoltarlo, Gesù risponde: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno”.
Marta era forse emozionata, certamente indaffarata per dare degna ospitalità al Maestro, ma Dio non vuole per sé un buon pranzo o una fresca bevanda. Egli venuto per dare, anzi per darsi e ciò che cerca è la nostra disponibilità interiore, l’ascolto incondizionato, “innamorato” della sua Parola e la nostra vicinanza. Maria invece era seduta ai piedi di Gesù, apparentemente senza fare nulla, ma quella parola modellava la sua anima, la rendeva “amica” di Cristo, ella era pronta ad agire secondo quanto apprendeva da Lui. In entrambe le scene Abramo e Maria hanno stabilito un rapporto “intimo, confidenziale” e tutte e due ricevono un dono: il primo un figlio e la seconda la “parte migliore che non le sarà tolta” (la Parola).
Simbolicamente nella prima scena abbiamo visto che Abramo ha messo a servizio di Dio il proprio agire (ha accolto Dio mettendosi a servizio dell’uomo), mentre Maria è stata rapita dall’ascolto (essa accoglie Dio nell’ascolto della sua parola, nella contemplazione del suo significato) rimane ora la terza parte: in essa vediamo che Paolo, stretto dalle sofferenze e dalle difficoltà, scrive ai Colossesi “Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne”. Siamo finalmente arrivati al punto più alto di questo cammino spirituale che è l’accoglienza: esso inizia con l’accogliere l’uomo per arrivare ad accogliere Cristo, non più come ospite, ma come colui che ci è più caro di noi stessi, come colui al quale uniformarci non solo con la volontà ed il cuore, ma ancor di più con la sofferenza, per essergli simili, per completare in noi la sua immagine cara ed amata di Crocifisso prima e di Risorto poi. E nella sofferenza offrirsi a Dio per il bene degli altri, senza più desideri o rivalse, offrirsi perché Cristo si è offerto, soffrire per amore perché Egli per amore ha sofferto. Un cammino arduo si apre dinanzi alla nostra fede, una cammino eroico cui non tutti sono chiamati, ma a ciascuno di noi viene prima o poi offerta la possibilità di accogliere un uomo ed in lui accogliere Dio.
L.R.
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