Rif.: Qo 1,2;2,21-23; Sal 90,3-17; Col 3,1-5.9-11; Lc 12,13-21
“Vanità delle vanità, tutto è vanità”. In ebraico il termine hebelche noi traduciamo vanità ha il significato di vuoto, nulla. La ripetizione del termine equivale ad un superlativo corrispondente all’italiano vuotissimo, ad indicare il nulla assoluto.
Da qui parte la profonda riflessione di Qoèlet che si sofferma sulla vanità della vita, delle sue azioni e delle sue preoccupazioni, tutto è transitorio, tutto effimero e inutile: gioia e soddisfazione, fatica e angoscia. Come un fiume placido o irruente, la vita trascorre avviandosi al termine e al “posto di quel fiume l’acqua continuerà a scorrere” (cfr. Qo 1,7), portandosi via di ogni vita, la gioia, ma per fortuna anche il dolore. Il concetto di vanità risuona come un mantra in ogni pagina del libro, che però non vuole infondere pessimismo, piuttosto mettere in guardia perché ciò che improrogabilmente rimane è l’incontro con Dio: “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché qui sta tutto l’uomo. Infatti Dio citerà in giudizio ogni azione, anche tutto ciò che è occulto, bene o male.” (Qo, 12,13-14)
Qoèlet lancia il suo messaggio che ci arriva in questo tempo di “vacanza” il cui significato è mancanza di lavoro, tregua da ciò che ci affligge e che spesso si trasforma in un tempo “vacanza” nel senso negativo di totale assenza di interesse, di opere buone, tempo di facile egoismo, tempo in cui si rischia di dissipare ciò che di buono c’è in noi e nella nostra vita. Tempo della vanità, nel quale è benedetto il riposo che ritempra, ma guai a lasciarsi travolgere da ciò che non ci arricchisce dentro.
Sulla stessa linea si svolge il brano di Vangelo ed il suo forte avvertimento: “La sua vita non dipende da ciò che egli possiede”. Ed anche qui appare la vanità dei progetti umani che, nel bene o nel male, devono incontrarsi o scontrarsi con il progetto che Dio ha su di noi.
Con le sue parole Gesù dipinge la triste realtà di chi si presenta davanti a Dio con le mani vuote perché ha dovuto lasciare quaggiù quanto aveva afferrato con cupidigia, ed il cuore pieno di affanni per procurarsi potere e ricchezze.
Le sue mani non hanno nulla da offrire e nel suo cuore, pieno di cose inutili, Dio non può riversare la sua bontà ed il suo amore. Nulla ci appartiene e potremo portare con noi non ciò che abbiamo, ma solo ciò che siamo!
Ecco ciò che consegneremo e di cui dovremo rendere conto: ciò che siamo! E allora ogni valore viene capovolto: avrà importanza non quanto guadagnato, ma quanto avremo donato; i tesori da accumulare, di cui parla Gesù, sono ciò che ci fa divenire migliori e ci fa essere generosi e disponibili agli altri. Insomma saremo ricchi se ci svestiremo dell’uomo vecchio con la sua immoralità e impurità (cfr. II lett.), con la sua sete di guadagno, per rivestirci di Cristo e portare impressa in noi l’immagine di Lui che ha spogliato se stesso per donare a noi una ricchezza nuova ed inimmaginabile: se stesso e la sua vita divina.
Allora risuona forte l’esortazione paolina: “Cercate le cose di lassù dov’è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra”. Vanità delle vanità è sprecare la vita per inseguire cose che si dileguano come fumo leggero.
LR