Rif.: Is 66, 18b-21; Sal 116/117, 1-2; Eb 12, 5-7.11-13; Lc 13, 22-30
Pur dirigendosi alla Croce, Gesù non trascura la sua missione di annunciare il Regno ed insegnarne la strada, una strada stretta e difficile che richiede impegno e sforzo e che non tutti riescono a percorrere. La Liturgia si svolge questa volta su un doppio binario: da un lato la fedeltà del Signore che non si stanca di cercare e chiamare l’uomo e dall’altro l’uomo con le sue promesse e la sua incostanza. Così vediamo che all’annuncio di una salvezza universale dalla quale nessun uomo è escluso (cfr. I lett.), fanno da controcanto le parole di Gesù: “Sforzatevi di entrare dalla porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare e non ci riusciranno”. Un avvertimento drammatico: Dio ci salva, tutti, nessuno escluso, ma la salvezza va colta così come si colgono le rose dalle molte spine. Esse offrono a tutti la loro bellezza e il loro profumo, ma solo chi è disposto a lasciarsi ferire dalle sue spine riesce a impadronirsene. L’immagine simbolica contiene due elementi che invitano a riflettere: il primo è che, come la rosa, la salvezza affascina e attrae molti ma per ottenerla non basta l’ammirazione passiva o il desiderarla, occorre l’azione di tendere la mano, la sofferenza delle punture, l’impegno di volerla a tutti i costi. Ed ecco i punti che scoraggiano e fanno desistere molti: l’impegno e la sofferenza, eppure siamo disposti a impegnarci e soffrire per dimagrire, per apparire in forma, per giungere al successo, per guadagnare soldi e potere. Con raccapriccio vediamo i rifugi dei mafiosi, dei camorristi, disposti a vivere rinchiusi in soffocanti bunker pur di avere potere e denaro …. Per le cose materiali che vediamo e tocchiamo ogni sacrificio è nulla anche se sappiamo che esse sono inesorabilmente transitorie, nulla vi è di sicuro, basta un colpo di vento e ogni cosa si dissolve, ogni situazione cambia. La nostra meta è un’altra, è quella che si staglia oltre la morte, passaggio inevitabile, per l’eternità. Ed è all’eternità che Gesù è venuto a condurci, è là che ci attende con il Padre. Nella sua vita terrena Gesù ha parlato molto, ha insegnato tanto, ma il suo più grande insegnamento ci viene dalla sua vita, dalle sue azioni, dalla sua Croce. Una porta strettissima attraverso la quale Egli è passato per noi, per facilitarne l’ingresso, per dilatarla con il suo amore e la sua giustificazione. Eppure senza il nostro impegno e il nostro sforzo anche la croce rimane senza efficacia. Tutto ciò che Cristo ha detto deve tradursi in vita vissuta, deve penetrare nell’animo e cambiarlo, solo così “saremo” cristiani. Il Vangelo di questa domenica afferma drammaticamente che non basta essere stati alla presenza di Dio ogni domenica, non basta aver ascoltato con impazienza la messa e recitato le preghiere. Non basta “presentarsi” a Dio di tanto in tanto. Dio ci accoglierà o ci rifiuterà a seconda del nostro modo di essere. Tutto il brano evangelico ci dice infatti che non basta aver sentito parlare di Gesù, essere andati in Chiesa o aver partecipato ai sacramenti, c’è qualcosa in più che Dio si attende da noi: la nostra amicizia, l’accettazione della sua volontà, la nostra gratitudine filiale che lo riconosce Padre eterno e Santo che ci corregge e ci punisce, ci percuote e ci salva, ma che sopra ogni cosa ci ama ora e sempre fin dall’eternità più remota: ancor prima di essere creati noi siamo stati amati da Lui che ora ci attende per aiutarci in quello stretto passaggio che a Lui conduce! Là dove il Figlio è passato Dio ci aspetta benevolo, pronto a tendere una mano a chi cade, a richiamare lo scoraggiato che torna indietro e a premiare chi combatte se stesso e si sforza di essere come Lui vuole: “Perché forte è il suo amore per noi / e la fedeltà del Signore dura per sempre” (Sal. Responsoriale).
L.R.
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