Rif.: Sap 11, 22-12, 2; Sal 144; 2Ts 1, 11-2, 2; Lc 19, 1-10
“Dio non disprezza nulla di quanto ha creato” e ancora “(Dio) non prova disgusto per nessuna delle cose che ha creato”! Le parole del Siracide gettano una luce particolare sulla liturgia odierna che riflette sulla misericordia di Dio e ne canta le lodi. Come infatti Dio potrebbe odiare ciò che ha creato e che esiste dall’eternità nel suo pensiero o nel suo volere, oppure disprezzare ciò che è parte integrante del suo progetto di vita? In Dio tutto è perfezione, tutto volge al bene, nulla può intralciare la sua volontà ed ecco allora la pazienza divina che sa attendere il pentimento del peccatore, che offre possibilità di redenzione al traviato, che sa chiudere gli occhi sul male in attesa che esso si dissolva in lacrime di pentimento e volontà di riparazione.
Come tutto appare distante dal nostro modo di essere, dalla nostra fretta di rimettere ordine nel mondo, di voler distruggerne il male, di invocare Dio perché intervenga come giudice severo e dia punizioni esemplari a chi sbaglia. Le nostre preghiere perdono il loro connotato di richiesta e si tingono del violaceo colore del livore, del verde veleno della vendetta, del rosso purpureo della rabbia, in esse stentano a nascondersi le inevitabili domande: “Dio è con noi o contro di noi? Perché non interviene in questo mondo impazzito nel quale il male sembra trionfare sul bene? perché non fulmina chi sta per profanare un bambino, colpire un inerme cittadino? Perché permette che chi lavora sia maltrattato al pari di un animale o una donna sia usata come un oggetto da logorare?” Nel rovello di sentimenti negativi che ci assalgono, nel dubbio che ci ottenebra improvviso emerge il canto del salmista: “Misericordioso e pietoso è il signore, lento all’ira e grande nell’amore. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature”. Dio permette e sopporta il peccato in attesa che il peccatore si converta, a tutti è offerta un’occasione perché nessuno vada perduto. Dio non ama il male ma ha pietà del peccatore e prova verso di lui la tenerezza, la pietà che ha la madre verso un figlio caduto e ferito.
In Cristo, Dio stesso viene a cercare, chiamare, salvare, il male continuerà ad esistere e “come leone ruggente va in giro cercando chi divorare” (cfr. 1Pt 5,8), ma sappiamo anche che noi possiamo dominarlo seconda la parola che Dio rivolse a Caino: “il male è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu puoi dominarlo” (Gen 4,7b) . In questo cammino di redenzione non siamo soli perche, paradossalmente, quando il peccato allontana l’uomo da Dio, ancor più Egli si avvicina al peccatore inseguendolo con tenerezza materna e con il timore che tale allontanamento possa rendersi definitivo; allora, attraversando la vita di ciascuno, Dio passa, si lascia vedere, si ferma, non attende di essere invitato ma entra, per fermarsi e lasciarsi conoscere, perché l’uomo comprenda di essere amato da sempre, di essere conosciuto nella sua debolezza: anzi, proprio per questa egli è cercato ed atteso. “Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” E’ questa la risposta con la quale Gesù zittisce il mormorio di critiche che si era levato “E’ andato ad alloggiare da un peccatore”. Sì, Gesù alloggia da Zaccheo, un peccatore, ma dinanzi ai suoi occhi non c’è un piccolo uomo insignificante, un essere da disprezzare per la sua condotta di vita, ma una persona che il Padre ha creato e perciò amato dall’eternità, c’è un uomo che porta, indelebile, l’immagine di Dio che nemmeno la purulenta piaga del peccato ha potuto cancellare. E Gesù si ferma in quella casa dove è entrata la salvezza. Si ripete la drammatica storia di chi, sentendosi giusto, non si avvicina a Dio, mentre lo cerca e lo invoca chi di Lui ha bisogno. La parabola di Zaccheo è la storia del cammino spirituale di ogni uomo che cerca Dio e si affanna per poterlo vedere, ma non ci riuscirebbe mai se Dio stesso non si fermasse per dirgli: “Oggi devo fermarmi a casa tua” ed egli “scese in fretta e lo accolse pieno di gioia”.
L.R.
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