Rif.: 2Mac 7, 1-2.9-14; Sal 16/17, 1.5-6.8.15; 2Tes 2, 16-3,5; Lc 20, 27-38
Pur nella sua temporaneità l’uomo tende all’eterno, ciò che passa lascia un ché di amaro che non soddisfa, vorremmo trattenere per sempre gli affetti, le persone care, la gioventù, le emozioni. In effetti gli artisti non fanno che esprimere attraverso le loro opere questo desiderio di travalicare il tempo e di consegnare all’eternità bellezza ed emozioni con qualcosa che sia immutabile, fermo nell’istante in cui esso è stato “immortalato” ….
Ma non è così! Nulla può fermare il nostro divenire, possiamo però, alla luce della Parola, consegnare noi stessi all’eternità. Di vita eterna si parla infatti nella liturgia odierna dove essa è presentata nella prima lettura come speranza che diviene certezza assoluta nel Vangelo perché, dice il Signore Gesù: “Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono in lui”. Le parole sono risposta al quesito dei sadducei sulla resurrezione, bisogna però fare un passo indietro. Gesù è ormai arrivato a Gerusalemme, dove, la meta del suo cammino terreno è giunta alla fine. Egli si reca al Tempio come era solito fare, qui ha scacciato i mercanti suscitando l’ira della classe sacerdotale che, vedendo minata la propria autorità, cerca il modo di coglierlo in fallo per accusarlo davanti al popolo. In un’atmosfera che si va caricando di tensione e di intrighi, deliberata la sua condanna, si cerca un pretesto che permetta di dichiararlo colpevole definitivamente. Fallito il primo tentativo fatto con alcune spie che lo hanno interrogato: “è lecito o no pagare il tributo a Cesare?”. Tocca ora ai sadducei che, non credendo alla risurrezione, ironicamente gli chiedono a chi apparterrà la donna rimasta vedova di ben sette mariti, fratelli fra loro.
“Quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie, né marito” è la solenne risposta di Gesù. Si apre alla nostra riflessione lo scenario di una vita futura completamente diversa da quella che ora viviamo, dove ci è reso l’antico stato di Adamo che, libero da ogni legame terreno, aveva come unico interlocutore Dio. E’ questo lo scopo primario della missione di Cristo: elevare il nostro sguardo al di là delle cose terrene, imparare a guardare in alto, al di là del tempo e del divenire, dove la comunione con Dio ci riporta all’antica dignità di figli e dove la sessualità, persa la sua funzione creativa, non ha più modo di essere, dove l’essere vedovi o sposati, single o accompagnati non ha più senso. Gesù ci spinge verso un orizzonte nuovo, diverso, dove ognuno sarà libero da ogni legame terreno per riscoprire l’unico, vero vincolo: quello indissolubile che ha con Dio, Padre e Creatore. La risurrezione è fatta per rivivere in Dio, è un “ritorno” definitivo a quello stato che Dio aveva progettato per noi: amarlo perché Lui ci ama, sentirci sue creature e, con la Redenzione, suoi figli, amati, cercati, attesi…. e, dopo le vicissitudini umane, ritrovarlo per sempre. Emerge così il rapporto “personale” che ciascuno avrà con Dio e che, fin d’ora, germoglia e fruttifica alla luce di quella Parola che ci è stata data per edificarci, istruirci, ammonirci. La fede che avremo avuto su questa terra fiorirà e sarà premiata con il ritorno a Dio, Creatore e Padre. Come i ragazzi del libro dei Maccabei che, forti nella fiducia in Dio, seppero resistere ad ogni sorta di torture pur di non tradirlo. Come Cristo che, pur sentendo vicina l’Ora della Croce, non si sottrae ad essa, ma ci annuncia la speranza nella salvezza che in Lui sta per compiersi e ci prospetta vicina, certa la resurrezione affermando che “Dio non è dei morti, ma dei viventi perché tutti vivono per lui”.
L.R.
Fot. Sven Zetag/Unsplash.com