Rif.: Ml 3, 19-20a; Sal 97/98, 5-9; 2Tes 3, 7-12; Lc 21, 5-9
“Ecco viene il giorno rovente come un forno” Il profeta Malachìa annuncia il giorno nel quale Dio verrà a giudicare il mondo e nel quale i cattivi e la loro malvagità saranno estirpati come si estirpa la zizzania da un campo di grano, mentre per i giusti quel giorno sarà un giorno radioso e benefico che vedrà sorgere lo splendore dell’eternità. L’anno liturgico sta per concludersi e la Chiesa, come ogni anno, associa a questa fine la fine dei tempi, quando Dio si presenterà giudice per alcuni e per altri come il Signore amato, servito, atteso, nel quale è stata riposta ogni speranza. I due aspetti che questo medesimo giorno assume sono diversissimi tra loro, come diversi sono gli uomini uno dall’altro. Alcuni infatti vivono come se Dio non esistesse, vittime dell’egoismo, calpestano ogni diritto altrui, potere e denaro sono i loro idoli, la corruzione impera e devasta la loro anima. Nell’ansia di accumulare beni perdono di vista il bene che li salverebbe dall’eterna perdizione. Altri invece attendono trepidanti il giorno in cui incontreranno Dio e da Lui saranno accolti come figli per questi sarà un giorno di salvezza e consolazione, giorno di speranza realizzata e di fede premiata. E’ il momento in cui “la fine dei tempi” coinciderà con “il fine” di tutta una vita vissuta compiendo il proprio dovere giorno per giorno, tenendo il cuore fisso alla legge del Signore, ponendosi sotto lo sguardo di Dio per pensare ed agire secondo la sua volontà.
Sarà il giorno in cui il terrore dei malvagi si scontrerà con la gioia dei giusti e si decideranno le sorti eterne di ciascuno. Gli uomini che hanno speso la vita nelle vanità e nell’ingiustizia, saranno preda dell’opera distruttrice del fuoco e bruceranno come paglia “in modo da non lasciar loro né radice, né germoglio”. Di essi non vi sarà più né ricordo del passato né possibilità di futuro. Gli altri saranno accolti in quel Regno nel quale hanno sperato e per il quale si saranno impegnati in questa vita. E’ s. Paolo a ribadire che l’attesa del giorno del Signore deve essere vissuta con la dignità del lavoro. Un’attesa passiva è indice di egoismo, si vivrebbe infatti pensando a se stessi trascurando i bisogni e le attese altrui. Il lavoro invece nobilita chi lo esegue e si ripercuote beneficamente sugli altri. Attendere non vuol dire sospendere la propria vita, ma spenderla invece per gli altri correndo in aiuto di chi ha bisogno, di chi attende un sorriso, un sostegno, un poco del nostro tempo …. Vivendo attendere e attendendo vivere, tutto questo si realizza nel momento in cui noi viviamo come se fosse l’ultimo giorno a disposizione, come se fosse l’ultima occasione di fare del bene, l’ultimo istante in cui raccomandare l’anima a Dio. Anche nel Vangelo Gesù parla degli ultimi tempi e dei segni grandiosi e terrificanti che li precederanno e noi, con gli Apostoli, ci chiediamo come e quando avverrà tutto ciò.
Nella storia infatti ci sono stati, ci sono e ci saranno terremoti, pestilenze, carestie, guerre; molte volte, troppe, è stata annunciata la fine del mondo ed ancora oggi si fanno illazioni circa la sua probabile data, ma il tempo continua la sua inesorabile corsa verso la meta, sfuggendo ad ogni ipotesi o pronostico. Gesù non risponde a questa domanda e il suo silenzio ci dice che Dio è padrone del tempo e della storia e si riserva il diritto di disporne come più gli piace. Gesù inoltre assicura che attraverso i cataclismi e gli avvicendamenti della storia il credente sarà protetto ed assistito dallo Spirito Santo che istruisce e dà forza, affinché le prove siano solo occasione per testimoniare a Dio, a se stessi e agli uomini di avere una fede incrollabile nel Padre che dall’eternità ci ama, nel Figlio che per l’eternità ci ha redenti, nello Spirito Santo che all’eternità ci guida.
L.R.
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