Rif.: 2Sam 5, 1-3; Sal 121/122,1-2.4-5; Col 1, 12-20; Lc 23, 35-43
Siamo giunti all’ultima domenica dell’anno liturgico guidati dall’evangelista Luca che Dante definisce: “scriba della mansuetudine di Cristo”. In linea con tutto il suo vangelo questa domenica ci presenta l’ultimo, drammatico atto della vita terrena di Gesù: la crocifissione. Proprio la Croce infatti esprime appieno tutta la mansuetudine, la misericordia, l’amore di Cristo che si espone al ludibrio di una condanna ingiusta, allo sguardo irrisorio del popolo, al giudizio beffardo dei sacerdoti, al dileggio dei soldati e di uno dei due condannati, senza ribellarsi, senza minacciare vendetta. Il suo non è il silenzio rancoroso di chi subisce un torto, ma il silenzio di chi sa superare l’offesa perché la migliore risposta al male è rimettersi a Dio. E Dio interviene in maniera inaspettata: tra il vociare delle offese si stabilisce un dialogo intimo tra Cristo e uno dei condannati che gli dice: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” e Cristo risponde con parole che sono perdono e promessa: “Oggi con me sarai nel paradiso”. Oggi! Dio risponde prontamente alla richiesta di perdono, non c’è tempo da aspettare, gli basta un cenno, un piccolo moto del cuore. Siamo di fronte alla plastica dimostrazione della parabola del “figliol prodigo” quando il padre vede da lontano arrivare il figlio e gli corre incontro impaziente di abbracciarlo e di riconoscerlo tale. Nell’atroce sofferenza della Croce, Cristo non pensa a sé e ai suoi dolori, ma ascolta la voce del peccatore pentito e per lui spalanca quel Regno dei cieli che Gesù è venuto a conquistare per noi. La Croce è la porta che ci apre all’eternità. Re vittorioso sul male Cristo ci porta la riconciliazione che “per mezzo di lui ed in vista di lui” era stata stabilita nel provvidenziale disegno della redenzione (cfr. II lett.) .
La Croce non è la sconfitta di Cristo, ma l’insegna vittoriosa di chi ha saputo conquistare la “pacificazione di tutte le cose per mezzo del suo sangue” (ibidem) In linea con s. Paolo la solennità odierna è intitolata a “Cristo Re dell’Universo” che per noi ha conquistato la salvezza e la gloria eterna.
I due ladroni del Vangelo odierno diventano simboli dell’incredulità e della fede che perennemente si scontrano davanti al mistero della Croce chiamando in gioco l’inviolabile libertà dell’uomo. “Salva te stesso” è l’insensata provocazione che il primo rivolge al Signore proprio nel momento in cui Gesù gli sta offrendo l’ultima occasione per redimersi e salvarsi. L’altro invece si rivolge a Cristo chiamandolo per nome, un nome che significa “Dio salva”, un Nome al quale si aggrappa sapendo che se a dividerli è la colpa, ad unirli sarà l’Innocenza di quell’Uomo ingiustamente condannato. Il ladrone è il primo a comprendere che proprio la condanna ingiusta di quell’innocente è la strada della sua redenzione. “Ricordati di me” sono le sue parole, il grido ultimo di chi ha perso ogni speranza e sta per perdere la vita, il grido di chi non si arrende alla morte e cerca qualcosa che la superi, qualcosa che gli permetta di continuare a vivere in un mondo migliore, dove la colpa è cancellata e si rinasce innocenti, dove ogni male è dimenticato e l’amore è il metro che misura ogni persona ed ogni cosa.
“Ricordati di me” diventa il grido urgente dei molti crocifissi del mondo afflitti dalla malattia, dalla povertà, dalla disperazione, “ricordati me” è la muta, implicita, invocazione del peccatore al confessionale che attende il perdono e il riscatto e che davanti alla Croce di Cristo si inginocchia come davanti ad un trono di gloria.
“Ricordati di me”, le parole del ladrone percorrono la storia e saranno il grido di chi, nel momento estremo e decisivo si abbandona completamente a Cristo, riconoscendo in Lui la Via che conduce alla Vita senza fine.
L.R.
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