Siamo alle porte del tempo quaresimale, abbiamo celebrato 8 domeniche che hanno fatto da ponte tra il tempo di Natale e quello in preparazione alla Pasqua, la parola oggi ci invita a rimanere vigilanti: nella celebrazione domenicale, abbiamo sempre bisogno di nutrire la nostra vita spirituale, per rimanere desti, svegli, attenti nel nostro cammino su questa terra.
Perché nelle letture di oggi, si nota subito come è forte lo sguardo verso la prospettiva della vita futura: il nostro operato quotidiano, ogni nostra azione che abbiamo fatto quaggiù, dalla piccola alle più grandi, è in vista di una valutazione che ci sarà alla fine della nostra vita; qualcosa di inevitabile come quando si “setaccia il grano, o il vaso nella fornace”, ci sarà questa “mettere alla prova”. Non pensiamo all’aspetto negativo, la prova fa pensare a qualcosa di faticoso, gravoso, col rischio di “soccombere alla prova”, ma è necessario perché venga alla luce ciò che è gradito Dio. Senza la prova della fornace, quel modello in terracotta, non potrà mai diventare un bellissimo vaso.
Allora come fin d’ora orientare la nostra vita? Perché come “coltiviamo l’albero” che rappresenta tutto noi stessi, tali saranno i nostri frutti. Un modo chiaro per dirci che non dobbiamo illuderci o prenderci gioco di Dio.
Ci dà un orientamento San Paolo nella seconda lettura: ci esorta a rimanere “saldi irremovibili”, proprio come l’albero, che è ben radicato nel terreno e resiste ai venti, alle tempeste… Resiste perché le radici sono ancorate alla parola di vita, come ci ricorda il versetto del Vangelo “tenendo salda la parola”: una parola che “mostra i pensieri del cuore” e ci sprona a vivere nel bene e a far sì che ogni gesto della nostra vita terrena sia ispirato alla gloria futura che ci attende.
E volendo darci un esempio pratico, su cosa dobbiamo fare, Gesù ce ne parla nel Vangelo. Quante volte abbiamo bisogno di ripeterci questo brano, di portarlo alla mente quando ci troviamo a confrontarci con gli altri, quando insomma vediamo dei comportamenti, atteggiamenti, che vediamo essere sbagliati, modi di fare che vorremmo correggere. Certamente un proposito buono, quando vogliamo il bene dell’altro, ma a volte manca di un uno sguardo interiore su di noi; perché, ci ricorda Gesù, la prima cosa da fare è chiederci se nella nostra vita anche noi facciamo quelle cose che non vorremmo negli altri.
Perché tutto ha inizio dal nostro modo di vedere le cose, dalla nostra “vista interiore”, altrimenti anche il gesto nobile di “guidare” non porta da nessuna parte, anzi, porta fuoristrada. Allora cominciare dalla trave nel nostro occhio, cioè le nostre storture, nostre ambiguità, che ci portiamo appresso e verso le quali siamo indulgenti, tolleranti… Abbiamo bisogno quindi di essere coerenti nella parola di Dio e negli atteggiamenti; nelle parole e nelle opere; questo ci rende capaci di correggere il fratello. Ecco il motivo perché ci accorgiamo che non è sempre facile, perché a volte le nostre migliori intenzioni non producono i risultati sperati; vogliamo che l’altro cambi ma noi siamo i primi a non voler cambiare.
In fondo, una persona riesce cambiare se vede in noi quell’albero buono, che produce frutti buoni. Non sono le nostre parole, i nostri ragionamenti, convinzioni, idee, che ci permettono di togliere questa pagliuzza, ma è il nostro esempio di vita, e la gente sa riconoscere una persona dai suoi frutti.
Oggi noi passionisti celebriamo anche la festa di San Gabriele, che entrò nel noviziato nel convento di Morrovalle. Di tutta la sua vita, degli esempi di santità che ci ha lasciato, ci ha insegnato proprio questo: è entrato come un giovane desideroso di offrire la sua vita al Signore, e già solo pochi giorni dopo i suoi confratelli dicevano di lui “questo damerino ci passerà avanti a tutti quanti”. Così, con la sua vita limpida, ha saputo essere da esempio, da incoraggiamento nel cammino di santità per coloro che gli stavano accanto, che vedevano in lui un modello da imitare.
E di conseguenza, i confratelli vedendo crescere le sue virtù, la sua vita veramente angelica, – nell’obbedienza, nel portamento, nella preghiera, il suo raccoglimento, la modestia – tutto questo era sufficiente a mostrare le tante pagliuzze, i tanti piccoli e grandi difetti che ognuno di noi ha. E così le parole che San Gabriele diceva a suoi confratelli, per correggerli, per spronarli a crescere nella santità, – soprattutto ad avere una sconfinata devozione a Maria nostra madre – , facevano cambiare i cuori, portavano frutto, cambiavano la vita, e manifestavano che Gabriele era veramente “uomo buono che dal suo tesoro trae fuori il bene”.
Padre Michele Messi, passionsta
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