La liturgia che abbiamo ascoltato ha il suo cuore, il suo centro nella parabola del padre misericordioso. Già il titolo, che noi conosciamo anche come “parabola del figliol prodigo”, sposta l’accento sulla figura del padre, nel suo modo di essere, “misericordioso”, che rappresenta l’essenza di Dio: “Misericordioso e pietoso fino a mille generazioni, che conserva l’ira per quattro generazioni” così recita l’Antico Testamento, mettendo in luce la sproporzione tra la misericordia e la condanna.
Già questa settimana alcune letture facevano presagire l’agire di Dio, come nella parabola del servo malvagio: il padrone condona al suo servo un debito enorme, diecimila talenti, che non sarebbe mai riuscito a pagare; ma poi il servo appena uscito, incontrando un amico che gli doveva cento denari, una piccola cifra, non mette in pratica quella misericordia che aveva ricevuto e lo fa arrestare per ottenere il suo credito. Così i farisei, criticano Gesù perché sta con i peccatori, con “coloro che hanno bisogno del medico”, non essendo venuto il Messia per chiamare i giusti ma i peccatori, e non mostrano quella misericordia che deve esserci tra fratelli.
Questi esempi e la parabola cha abbiamo ascoltato, ci fanno capire innanzitutto che il cuore di Dio è compassionevole verso il peccatore, affinché si converta e viva, per accoglierlo al suo ritorno, perché “c’è più gioia per un solo peccatore che si converte che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”. Ma il figlio, purtroppo, ne ha combinate “di tutti i colori”, e come non dar ragione al fratello maggiore che sembra voler dire al padre: “ti ha fatto soffrire, ha sperperato tutte le tue sostanze con le prostitute, e sei ancora buono con lui!?” Questo purtroppo è un ragionamento, una logica che può verificarsi anche in noi, di fronte alla ingiustizie umane che ci possono toccare.
Ma di fronte a tutto questo, entrambi i figli, sia il figlio prodigo sia l’altro maggiore, sono costretti a confrontarsi con l’amore del Padre, un amore che supera i loro ragionamenti, che ci rivela l’agire di Dio nei nostri confronti: un amore incondizionato, che non si ferma al male che possiamo aver causato. Un amore che non viene mai meno e prevale su tutte “le storture della nostra vita, i nostri fallimenti, le nostre cadute, sbagli, ferite”, e tutto ciò trova la massima espressione nei gesti eloquenti del padre: “ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”.
E qui si aprono due possibilità: la prima del figlio prodigo, più difficile, che richiede l’umiltà di un cammino interiore, riconoscere il proprio errore, accettare di aver sbagliato, mettersi in discussione: quello che è “ritornare in se stesso”, primo passo indispensabile per cominciare poi a “ritornare alla casa del padre”. Trovare il coraggio di presentarsi al padre, forse c’era il timore di non essere accolti, così da aggiungere un ulteriore sofferenza: non solo quella di aver perso tutti i beni materiali, ma la paura di perdere anche l’affetto più importante che gli era rimasto.
No, Dio ci insegna proprio a non avere questa falsa immagine di Lui: perché Dio è amore, un amore immutabile, che non viene meno: anche fosse il più grande peccatore, Dio non smette di amarlo. Ma è l’uomo che può dire no a questo amore, ed è quello che accade con il fratello maggiore: ha questa falsa immagine del padre e del fratello, che neanche nomina, dicendo “questo tuo figlio”. È stato tanti anni con suo padre, ed ora si accorge che non lo conosce, la cosa peggiore è che non ha mai sperimentato su di sé l’amore che il padre ha sempre avuto verso di lui. E quando l’amore del padre si manifesta verso il figlio minore, che “si era perduto ed è ritornato”, è incapace di capire perché si comporta così: lo vede come un torto nei suoi confronti e uccidere il vitello grasso, fare festa, diventa inconcepibile.
Se questa è una parabola, un racconto creato da Gesù affinché tutti quelli che lo ascoltavano potessero comprendere l’amore di Dio, noi abbiamo un fatto reale, concreto che attesta inequivocabilmente questo amore, che si spinge all’eccesso, ed è nella passione di Gesù che è morto in croce per noi.
Questa parola che abbiamo ascoltato sia un invito a lasciarci riconciliare con Dio, per fare esperienza dell’amore che Dio ha per ognuno di noi, a non chiuderci in noi stessi, nel nostro orgoglio e autosufficienza, ma a far posto nella nostra vita a Dio, affinché il suo amore possa trovare in noi quella corrispondenza, quell’accoglienza che ci fa entrare in comunione con l’agire di Dio.
Padre Michele Messi, passionsta
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