Il tempo Pasquale ci conduce a celebrare, cominciando da questa domenica con l’ascensione Del Signore al cielo, quattro successive grandi solennità… la Pentecoste, la Santissima Trinità e il Corpus Domini… tutto questo per una consapevolezza più salda del mistero Pasquale che abbiamo celebrato in questi 40 giorni.
La parola di questa domenica è tratta di Luca, e nella prima lettura, nell’introduzione degli Atti degli Apostoli, si percepisce questa “proiezione in avanti”: se negli evangelisti l’attenzione alla passione di Gesù occupa il cuore, il posto centrale dei racconti evangelici, ora il punto di svolta è rappresentato “da quel dopo” nell’ascensione di Gesù. “Dal giorno in cui fu assunto in cielo”: come la nascita ha segnato un avvenimento unico nella storia dell’umanità, ora con l’ascensione si preannuncia, nella Chiesa nascente che cresce e si diffonde, una “vita nuova”, che si realizzerà nel battesimo promesso da Gesù in Spirito Santo.
Gesù, nella sua Ascensione al cielo, alla destra del padre, non abbandona il suo popolo, continua la sua presenza in mezzo a noi, lo è in modo reale nell’Eucaristia con tutto se stesso, ma ci rassicura che viene in nostro aiuto un Paraclito, un consolatore, il quale ci darà la forza di vivere la nostra fede.
Una separazione che sa dell’ “arrivederci” in quanto la parola ci parla di un ritorno, per coloro che credono in lui e per la loro salvezza, come ricordano subito i due uomini in bianche vesti “verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”.
Un primo punto su cui riflettere, a partire da questo “sguardo verso il cielo”, è che l’umanità che assunto Gesù nell’incarnazione è stata sì redenta con la sua morte e resurrezione, ma con l’ascensione abbiamo come un’ulteriore sviluppo seguente la resurrezione: se per la resurrezione di Gesù, tutti risorgeremo, così per la sua ascensione tutti noi, nella pienezza della nostra umanità, siamo chiamati a raggiungerlo nei cieli, per partecipare della beatitudine eterna. E di questo Maria Assunta in cielo, in anima e corpo, rappresenta una anticipazione di quella condizione definitiva che Dio ha preparato per ognuno noi.
Ma, l’esortazione dei due uomini in bianche vesti affermando “perché state guardando il cielo…” sembra come a voler dire “datevi da fare per trovarvi pronti alla sua venuta”…, e per questo motivo ci ricorda come San Paolo ammonisce i Tessalonicesi, per la loro vita oziosa: credendo che la venuta del Signore fosse imminente, da un momento all’altro, pensavano che senso avesse darsi da fare, impegnarsi, affaticarsi nel mondo, se poi Gesù tra poco viene.
Ma noi non sappiamo quando sarà la sua venuta nella gloria, e nel frattempo che siamo nell’attesa, un secondo aspetto, ci rimanda alla vita concreta: nel vangelo si dice “tornarono a Gerusalemme con grande gioia”, è un impegno nelle realtà terrene del mondo, senza dimenticare il nostro sguardo verso il cielo, quando stavano “nel tempio lodando Dio”.
In altre parole, l’attesa della venuta di Gesù non ci dispensa dall’impegno in questo mondo, ma al contrario, saremo responsabili davanti al Giudice divino circa il nostro agire e operato in questo mondo. Come ci ricorda il Vangelo dei talenti, dove il Signore, che ha affidato ad ognuno di noi una missione, ci chiederà conto del nostro operato, se abbiamo portato frutto.
Perciò viviamo in questo mondo la nostra vita quotidiana, sapendo che, come cristiani, siamo chiamati vivere le realtà del mondo, materiali, non come fine e a se stesse, ricordando che queste poi sono destinate a passare, ma ad imprimerle dello spirito cristiano, per l’edificazione del Regno di Dio, che già avviene in questa vita.
Michele Messi – passionista
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